Appartenente alla stessa generazione di Xi Jinping, Han Zheng, 70 anni, non ha certo la stessa aura né la stessa autorità. Tuttavia, non è un secondo coltello. È stato per lungo tempo sindaco, poi primo segretario del Partito Comunista di Shanghai, sua città natale e capitale economica del Paese. Ha fatto parte del comitato permanente del Politburo, il sancta sanctorum del potere cinese. Nel marzo 2023 è stato elevato alla vicepresidenza della Repubblica Popolare, incarico cerimoniale che, a seconda delle circostanze, costituisce una marcia verso l’alto o, al contrario, come nel caso di specie, un pensionamento prestigioso.
Un rappresentante personale esperto
In questo ruolo, Han Zheng interpreta i rappresentanti personali del presidente cinese, nei negoziati (sul clima, per esempio) e nei forum internazionali (l’Assemblea generale delle Nazioni Unite), o in eventi più solenni come l’incoronazione di Carlo III nel maggio 2023. ha sviluppato doti diplomatiche tanto più utili in quanto Xi Jinping viaggia meno e il Ministero degli Affari Esteri ha recentemente vissuto convulsioni con il licenziamento del Ministro Qin Gang e il ritorno del suo predecessore, il veterano Wang Yi.
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La leadership cinese intende lusingare l’ego di Donald Trump onorandolo con una presenza di livello superiore rispetto ad altri paesi importanti: Giappone e India inviano solo i loro ministri degli Esteri. Il metodo ha i suoi limiti: Xi Jinping aveva sperato di sedurre il presidente americano, durante il suo primo mandato, riservandogli un’accoglienza sontuosa e senza precedenti nella Città Proibita, l’ex palazzo imperiale, ma ciò non è bastato a impedire lo scoppio di una tratta guerra. Ma vale la pena riprovarci, dato che uno dei tratti distintivi della nuova amministrazione presidenziale è la sua ostilità nei confronti della Cina. Figlio di esuli cubani, il prossimo Segretario di Stato, Marco Rubio, non ha alcuna simpatia per i regimi comunisti e non ha mai risparmiato critiche a Pechino.
Segnali contrastanti
Per Han Zheng l’azienda rasenta una missione impossibile, anche se la posta in gioco è enorme. Ogni anno la Cina vende agli Stati Uniti tre volte di più di quanto acquista da loro, ampliando a loro spese un gigantesco deficit commerciale che rappresenta la causa principale della disputa tra i due paesi. Donald Trump intende riportare ancora una volta il ferro in questa situazione minacciando di imporre tasse sulle importazioni cinesi fino al 65%. Ma, allo stesso tempo, mostra atteggiamenti più concilianti, in particolare esprimendo la volontà di impedire il ban del social network cinese TikTok. Negli ambienti economici di New York vogliamo credere nell’appeasement, scommettendo su un presidente americano più ragionevole e pragmatico di quello che ha prestato giuramento il 20 gennaio 2017.
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