Il discorso del presidente Bassirou Diomaye Faye, pronunciato il 31 dicembre 2024, segna un momento cruciale nella storia contemporanea del Senegal. Il discorso, intriso di solennità, voleva essere un ponte tra le aspirazioni popolari e le azioni concrete, delineando una visione chiara per un Senegal unito, sovrano e prospero. Il Capo dello Stato ha annunciato la fine della presenza militare francese a partire dal 2025, sottolineando la volontà di rafforzare la sovranità nazionale. Questa decisione fa parte di una revisione strategica della difesa, affermando al contempo una diplomazia attiva, aperta e impegnata per cause giuste su scala globale.
LA PRESENZA E GLI STRUMENTI MILITARI FRANCESI IN SENEGAL
Dopo la sua adesione all’indipendenza nel 1960, il Senegal ha mantenuto un rapporto speciale con la Francia, in particolare attraverso la presenza militare francese sul suo territorio. Questa collaborazione faceva parte degli accordi di difesa firmati al momento dell’indipendenza, che miravano a soddisfare obiettivi strategici e politici. Avrebbero dovuto garantire stabilità politica e sicurezza in una fragile regione dell’Africa occidentale. La Francia, desiderosa di mantenere la propria influenza nelle sue ex colonie, considerava il Senegal un punto strategico per le sue operazioni in Africa. Dakar, in particolare, con il suo porto in acque profonde e la sua posizione geografica, era ideale per stabilire una base militare in grado di proiettare forze nella regione. Questa presenza è stata inizialmente percepita come una garanzia di sicurezza contro possibili minacce esterne e di supporto logistico alle proprie capacità militari. Tuttavia, nel corso degli anni, i fondamenti e l’evoluzione di questa presenza sono stati percepiti diversamente dai diversi presidenti senegalesi che si sono succeduti prima di Bassirou Diomaye Faye, a seconda delle loro priorità e delle loro sensibilità.
LE POSIZIONI DEI PRESIDENTI SENEGALESI
Léopold Sédar Senghor (1960-1980), primo presidente del Senegal, vedeva nella presenza militare francese una leva di modernizzazione e una garanzia di stabilità. Convinto dell’importanza di una stretta collaborazione con la Francia, ritiene che l’autonomia politica del Senegal non debba essere accompagnata da una rottura brutale con l’ex colonizzatore. Pertanto, la base militare francese a Dakar è stata mantenuta come simbolo di questo rapporto privilegiato. Con Abdou Diouf (1981-2000), la percezione si evolve.
In un contesto di decolonizzazione avanzata e di aumento delle richieste nazionaliste in Africa, Diouf adotta un approccio più pragmatico. Mantiene gli accordi di difesa, ma lavora per rafforzare le capacità militari nazionali per ridurre la dipendenza dalla Francia. La sua politica ha mirato a bilanciare la cooperazione con altri partner internazionali, pur mantenendo un rapporto cordiale con Parigi. È Abdoulaye Wade (2000-2012) a segnare davvero una rottura simbolica. Critico dell’influenza francese in Africa, Wade ha chiesto la chiusura della base militare francese a Dakar nel 2010. Questa decisione rientrava nel suo desiderio di rafforzare la sovranità nazionale e riposizionare il Senegal sulla scena internazionale.
Tuttavia, questa chiusura non ha significato la fine della cooperazione militare: sono continuate le missioni congiunte e l’addestramento. Sotto Macky Sall (2012-2024), il rapporto militare con la Francia è stato più cooperativo che conflittuale. In un contesto segnato dall’aumento delle minacce terroristiche nel Sahel, Macky Sall ha fatto affidamento sulla Francia per rafforzare la sicurezza regionale, pur continuando lo sviluppo delle forze armate senegalesi. La cooperazione si è diversificata, estendendosi alle operazioni internazionali e al supporto logistico. Sotto la sua presidenza, la presenza militare e la cooperazione in materia di sicurezza con la Francia sono state cruciali per proteggere il Senegal dalle crescenti minacce provenienti dalla regione del Sahel, segnata da una crescente instabilità dovuta all’ascesa di gruppi come Al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM), Stato Islamico nel Grande Sahara (ISGS) e Boko Haram. Nonostante la chiusura nel 2010 della base militare francese da parte di Abdoulaye Wade, il Senegal è rimasto un elemento chiave per le operazioni nel Sahel, in particolare durante l’iniziativa Barkhane. Le forze francesi utilizzarono Dakar come punto di transito strategico per le loro missioni regionali. Uno dei pilastri di questa cooperazione è stata la condivisione di informazioni strategiche. Il Senegal, un paese relativamente stabile in una regione sempre più fragile, è diventato un attore chiave nella raccolta ed elaborazione di informazioni sulle attività terroristiche nel Sahel. Questa collaborazione ha permesso di anticipare e prevenire possibili infiltrazioni di gruppi armati in Senegal.
UNA STRATEGIA FRANCESE CHE CAMBIA
Se i capi di Stato avevano visioni e posizioni diverse riguardo alla presenza militare francese sul suolo senegalese, in Francia si cominciò a prendere in considerazione la graduale riduzione delle forze francesi in Senegal e più ampiamente in Africa già a partire dagli anni ’90. Con la caduta del muro di Berlino nel novembre 1989, e con esso quello del blocco dell’Est, l’Africa, ai suoi occhi, aveva perso parte della sua importanza nel campo della rivalità Est-Ovest. A ciò si aggiungevano pressioni interne sempre più forti per ridurre le spese militari e crescenti richieste di autonomia dai paesi africani.
Nel 2010, sotto la presidenza di Nicolas Sarkozy, la Francia ha riorganizzato le sue basi militari. Se in Senegal questa decisione fu motivata dalla volontà politica di Abdoulaye Wade, altrove essa rientrava in una strategia più ampia volta a concentrare le risorse militari francesi su altre basi come quelle di Gibuti, Libreville in Gabon e Ndjamena in Ciad. Nell’Africa occidentale, pur avendo ridotto le sue basi permanenti, operazioni come Serval nel 2013 hanno dimostrato che Parigi è rimasta impegnata nella regione. Ma gli osservatori hanno evidenziato un cambiamento nella dottrina: la Francia ha favorito questi interventi mirati e temporanei in collaborazione con gli eserciti locali. A partire dal 2021, di fronte all’aumento dei sentimenti antifrancesi (leggi articolo “Frapp France Dégage”) e alle aspirazioni di maggiore sovranità delle popolazioni, segnando un cambio di tono rispetto alla tradizionale politica della “Françafrique”, la Francia ha annunciato un significativa riduzione della propria presenza militare nel Sahel, tanto da non essere più percepito, come è stato per lungo tempo, come il “poliziotto” dell’Africa. Nel 2022, Emmanuel Macron lancerà una nuova strategia per la presenza francese in Africa, incentrata sulla cooperazione piuttosto che sul mantenimento di truppe permanenti.
FINE DEL MONOPOLIO FRANCESE, EMERGENZA DEL MULTILATERALISMO AFRICANO
Creato nel 2014, il G5 Sahel è un’organizzazione che riunisce cinque paesi del Sahel: Mali, Niger, Burkina Faso, Mauritania e Ciad. Il suo obiettivo principale era coordinare gli sforzi per rispondere alle sfide in materia di sicurezza e sviluppo in questa regione duramente colpita dal terrorismo, dall’insicurezza transfrontaliera e dalle crisi umanitarie. Tuttavia, il Senegal, sebbene geograficamente vicino al Sahel, non ne fa parte. Questa assenza si basa su diverse considerazioni.
UNA QUESTIONE GEOGRAFICA E DI SICUREZZA
Il G5 Sahel riunisce i paesi situati direttamente nella striscia del Sahel e che si trovano ad affrontare un’elevata minaccia terroristica. Queste nazioni condividono confini porosi dove operano gruppi armati come Al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM) e lo Stato Islamico nel Grande Sahara (ISGS). In confronto, il Senegal, situato sulla costa atlantica, è geograficamente lontano dagli epicentri di questi conflitti. Sebbene vigile di fronte all’aumento del terrorismo, il paese non ha subito attacchi significativi sul suo territorio, a differenza dei suoi vicini del Sahel. Pertanto, la sua inclusione nel G5 Sahel non era una priorità immediata.
UNA SCELTA STRATEGICA DIVERSA
Piuttosto che aderire al G5 Sahel, il Senegal ha concentrato i suoi sforzi su altri quadri di cooperazione regionale, in particolare la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS) e Minusma (Missione integrata multidimensionale delle Nazioni Unite per la stabilizzazione in Mali). Membro attivo dell’ECOWAS, il Senegal partecipa a iniziative di mantenimento della pace e stabilizzazione nella regione dell’Africa occidentale. Questa strategia gli consente di evitare un’associazione troppo stretta con la crisi del Sahel, pur svolgendo un ruolo significativo a livello regionale. Il 18 marzo 2022, nel corso di una cerimonia sobria ma solenne, il maggiore generale Usman Abdoumumuni Yusuf ha passato il testimone al generale di brigata senegalese Moctar Diop. Prima dell’8 dicembre 2023, data della conclusione della partenza di Minusma dal Mali, è stato un maggiore generale senegalese, Mamadou Gaye, a sostituire l’olandese Johannes Kees Matthijssen.
IL DESIDERIO DI PRESERVARE LA SUA STABILITÀ
Il Senegal coltiva un’immagine di stabilità politica e un modello democratico nell’Africa occidentale. La partecipazione diretta al G5 Sahel, un’organizzazione fortemente associata alle zone di crisi acuta, avrebbe potuto offuscare questa immagine. Inoltre, il regime di Macky Sall, quando fu creato il G5 nel 2014, preferì concentrare i propri sforzi su approcci preventivi per combattere la radicalizzazione. Se la chiusura definitiva della base francese in Senegal annunciata dal Presidente della Repubblica nel suo discorso del 31 dicembre chiude un ciclo di quasi sessant’anni di presenza militare francese sul suolo senegalese, un profano può dire che ciò non cambia nulla di ciò che non rientrare nel simbolo. La guerra ormai non ha praticamente più bisogno di una presenza sul terreno. I droni possono lanciare proiettili sul territorio mentre sono controllati a migliaia di chilometri di distanza. L’attacco iraniano a Israele, gli attacchi ucraini nella regione di Kursk lo hanno mostrato al mondo, i droni attraversano i paesi per colpire il loro obiettivo. La guerra è tecnologica, così come lo è l’intelligenza. Ciò che il presidente non dice, però, è quale politica di difesa sta attuando il Senegal dopo la decisione di inviare truppe francesi. Si obietterà che ciò rientra nel “segreto della difesa”. Restano le domande. Chi produrrà armi ed equipaggiamento militare per i soldati senegalesi? Dove verranno formati gli ufficiali senegalesi se non per molti e fino ad ora a Saint-Cyr o Melun? I nostri ufficiali più brillanti sono orgogliosi di essersi fatti le ossa alla Scuola di Guerra in Francia o a Westpoint e Parigi ci sostiene ancora, in termini di intelligence e sorveglianza delle frontiere nella guerra al terrorismo nella striscia del Sahel. . Spoglieremo Paolo per vestire Sergej, come vediamo in certi “paesi sovranisti”, con la forte presenza militare della Russia, attraverso la milizia privata Wagner? Sarebbe il massimo, poiché una sovranità rivendicata e assunta non può essere controllata.
HENRIETTE NIANG KANDÉ