Di sicuro, la situazione olandese dei politici francofoni è già andata peggio. Pochi ricorderanno Edmond Leburton, primo ministro nel 1973. Il socialista vallone non parlava una parola di olandese. Quando ebbe terminato il suo giro quotidiano tra i ristoranti stellati del paese, e si degnò finalmente di pronunciare qualche parola nella lingua della maggioranza della popolazione, il “fiammingo di turno” nel suo ufficio gli preparò una versione interamente trascritta foneticamente in affinché il capo del governo possa sperare, con un piccolo sforzo, di farsi capire dall'opinione pubblica del nord del paese.
Successivamente gli succedettero diversi primi ministri fiamminghi. Bisognerà attendere il 2011 affinché un francofono subentri. Guy Spitaels, onnipotente presidente del PS – o Dio in breve – non è mai riuscito a realizzare il suo sogno di accedere alla carica più alta, perché non parlava olandese. Montois Elio Di Rupo fece ancora lo sforzo di imparare, la prima volta per un vallone dell'epoca.
Sono stati molti progressi. Negli anni Novanta, un certo Jean-Maurice Dehousse, ministro delle Politiche scientifiche nel governo Dehaene, si distinse per la sua visione unica dell’uso delle lingue nazionali. Per quanto improbabile possa sembrare a molti fiamminghi, questo socialista credeva, in quanto fervente regionalista vallone e alleato di José Happart (PS), di non dover parlare olandese nel suo ruolo di ministro federale. Nel 1992 riuscì nell'impresa di parlare in inglese alla televisione fiamminga in un comunicato governativo. Jean-Luc Deheane, (CVP) è riuscito a malapena a convincerlo a non pronunciare il suo discorso in francese, cosa che Dehousse inizialmente aveva previsto di fare.
Il disprezzo per l'olandese tra i politici francofoni: una minaccia per il Belgio
Jean-Maurice Dehousse ha ribadito la sua provocazione comunitaria due anni dopo, durante una conferenza sul Mare del Nord a Ostenda. Ha mostrato tutta la portata del suo bilinguismo…francese-inglese. Sempre in inglese si rivolse al sovrano, provocando un tumulto politico. Dehaene ha quindi chiesto ai suoi ministri di mostrare “cortesia linguistica”, senza, ahimè, imporla. Dovrebbero almeno fare uno sforzo per tenere i loro discorsi nella lingua usata nella regione.
Nella coalizione Vivaldi, il segretario di Stato per le pari opportunità, Sarah Schlitz (Verdi), non parla una parola di olandese e non vede alcun problema particolare. I fiamminghi che l'hanno criticata su questo argomento erano, secondo lei, nazionalisti di estrema destra.
Nello stesso governo, Hadja Lahbib (MR), è stata nominata ministro degli Affari esteri nonostante la sua scarsa conoscenza dell'olandese. Continuando a proiettare all'estero l'immagine di un Belgio esclusivamente francofono, ciò dimostra che alcuni esponenti politici hanno ancora difficoltà a staccarsi dal “Belgio di papà”.
Ora che Lahbib è commissario europeo, questo è ancora più vero. Quando parlerà in Parlamento dovrebbe preoccuparsi di parlare alternativamente nelle due principali lingue nazionali. Recentemente ha letto un testo in olandese con così tanta esitazione che sospetto che abbia fatto ricorso al metodo Leburton.
Hadja Lahbib, commissario europeo: una scelta più che discutibile
Georges-Louis Bouchez non nasconde la sua ambizione di succedere a Lahbib. Come lei, il presidente del MR continua a non parlare olandese, anche se pretende di fare uno sforzo. Nonostante il suo profondo amore per il nostro Paese e la bandiera belga all'occhiello, è difficile vedere qualche miglioramento nelle sue competenze linguistiche.
Sarebbe impensabile che il formatore Bart De Wever (N-VA), se un giorno riuscisse a formare un governo, pretendesse dai suoi ministri la padronanza di entrambe le lingue nazionali? In passato, i fiamminghi si sono sempre piegati alla rigidità dei francofoni su questo argomento. È radicale aspettarsi che i ministri parlino la lingua della maggioranza di questo paese? Il muro Raymond Colleye disse nel 19e secolo: “Il Belgio sarà latino o non sarà”. La formula sarebbe ancora rilevante?
Testo tradotto dagli studenti del Master 2 della Facoltà di Traduzione e Interpretazione dell'Università di Mons, sotto la supervisione di Guillaume Deneufbourg