TESTIMONIANZA. Sbarco: a 15 anni, fugge da Saint-Lô sotto le bombe nel giugno 1944

TESTIMONIANZA. Sbarco: a 15 anni, fugge da Saint-Lô sotto le bombe nel giugno 1944
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Di Corinne Gallier
pubblicato su

29 24 aprile alle 6:16

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“Sai, eravamo piuttosto ingenue, e le brave sorelle erano altrettanto ingenue quanto noi! “, sorride Monica Morin.

Questa sera del 6 giugno 1944” nonostante il avvisi e il bombe, ci spogliammo nel dormitorio, con la speranza di dormire bene. Dovevamo partire il giorno dopo”…

Installato nella cucina della sua bella casa a Carentan-les-Marais (Manche), a pochi passi dal portal’ex commerciante (gestiva una gioielleria in questa città con il defunto marito, ndr) racconta i primi attentati Saint-Lô, dove era pensionante e le circostanze di lEsodo che seguì.

“Avevamo molta paura di andarci”

Allora aveva 15 anni, con la vita davanti a sé, ma faceva parte di un piccolo gruppo di ragazze di Buon Salvatore i cui genitori non poterono andare a cercarli in tempo.

Avevo aspettato invano di vedere apparire l’alta sagoma di mio padre (Noël Guéroult, ndr). All’epoca era sindaco di La-Haye-du-Puits, la mia città natale. Era stato bloccato dai tedeschi. Ero molto triste.

Monica Morin

Lei continua:

Eravamo appena andati a letto quando una bomba cadde sulla cappella dell’istituto, ed è in una nuvola di polvere gialla che ci precipitammo giù per le scale per rifugiarci in queste grandi cantine a volta che fino ad allora ci sembravano molto misteriose. C’erano dei giovani pazzi con noi che hanno avuto reazioni sorprendenti. Le bombe a volte cadevano molto vicine e devo dire che quella notte avevamo molta paura di attraversarle.

Monica Morin

All’alba, il piccolo drappello di residenti e i loro supervisori, per fuggire da Saint-Lô, prendono i viottoli in direzione di Chapelle-sur-Vire.

Eravamo ancora in camicia da notte e, mentre i miei compagni avevano gli zaini, io avevo la mia pesante valigia di legno che avevo riempito in tutta fretta di libri e scarpe!

Monica Morin

Il viaggio è caotico. In parte è realizzato fianco a fianco con una colonna dei tedeschi, mitragliatrice in mano. “Ci spingevano a sdraiarci nei fossati”, ricorda il novantenne.

Video: attualmente su Actu

All’arrivo a destinazione, il casa di riposo dei Padri, «ci organizziamo per essere più dignitosi. Ci occupiamo noi di fornirci gli slip della marca Petit Bateau! – comprato presso la merceria locale.”

Castello di Domjean

Questa sosta non dura a lungo. preso di mira il ponte sul Vire, bisogna ripartire. Il prossimo passo sarà Castello di Angotièrein Domjean.

I padri di Agneaux conoscevano il proprietario, il signor de Sédouy, che aveva accettato di accoglierci. Restammo lì per diverse settimane. Dormivamo su materassi per terra, nella pinacoteca, con le sue grandi finestre senza tende. Una sottile doppia porta si apriva su una sala vicina occupata da ufficiali tedeschi. Niente di tutto questo era rassicurante. Durante il giorno filavamo la lana e cantavamo (…).

Monica Morin
Monique: “Ho difficoltà con le ricostruzioni dell’esodo”. ©Jean-Paul BARBIER

Arrivò anche il giorno di lasciare quei luoghi. Mentre iniziano i preparativi, gli echi di una festa rumorosa e ubriaca risuonano nel soggiorno vicino.

Le doppie porte tremano, io e i miei compagni siamo terrorizzati. Risuona uno sparo e si sente cadere un corpo. Poi c’è il silenzio, seguito dal rombo di una moto…

Monica Morin

Il giorno successivo, le ragazze e i loro anziani si mettono in cammino a suon di mitragliatrici, incrociandosi soldati tedeschi. Obiettivo: Saint-Nicolas-des-Bois (Orne).

Grazie ai contadini dormivamo nel fienile, bevevamo latte, mangiavamo grosse fette di pane fatto in casa. Nella spensieratezza della nostra epoca, era un po’ come un campeggio estivo. Beh, se vogliamo! A Saint-Nicolas siamo stati ospitati nella casa più bella del villaggio con i ragazzi dell’Istituto Lamb. Condividevamo i pasti insieme in un grande hangar. E poi una mattina, i rifugiati vedono arrivare una colonna silenziosa di grandi soldati mimetizzati e imbrattati, con le mitragliatrici pronte a sparare.

Monica Morin

Sono stati gli americani.

“Continuo ad avere lo stesso incubo…”

Monique non la troverà famiglia quello a Agosto 1944.

“Io e i miei compagni ci siamo lasciati con molta emozione. È un camion militare americano che ci aveva sbarcati mentre raggiungevamo le rispettive destinazioni”, spiega la donna che ha trovato i suoi genitori vivi, ma in grande indigenza perché la loro casa era stata distrutta.

Dura realtà dopo tutto questo girovagare!

Monica Morin

La preziosa testimonianza di Monique Morin, dove piccola e grande storia si incontrano, dimostra che se l’arrivo di Alleati era una promessa pubblicazionela vittoria finale e le sue manifestazioni di gioia erano ancora lontane.

“La paura e il pericolo permanenti erano un ostacolo alla gioia”, attesta la Carentanaise, segnata per sempre da questi dolorosi eventi, anche se ciò non impedì loro, suo marito (che aveva vissuto lui stesso la campi di concentramentondr) e lei a costruirsi un’esistenza, con loro tre bambini.

Ancora oggi è perseguitata dallo stesso incubo:

Sono in un edificio pieno di persone che non conosco e cerco una via d’uscita che non riesco a trovare.

Monica Morin

Cavoli

Questo è il motivo, implacabile e indiscutibile, per cui riconosce senza mezzi termini il “non sostenere certi spettacoli” al momento della commemorazioni dello Sbarco.

È epidermico, le comparse che vediamo sfilare, pulitissime, in costumi d’epoca con valigie e accessori, non posso! Per me e per chi l’ha vissuta davvero – proprio come i loro figli a cui l’hanno raccontata – non sarà mai una vittoria rappresentare le vittime civili sotto i bombardamenti. L’esodo era composto da gente spaventata, sporca, con i loro magri bagagli o carretti pieni di ciò che erano riusciti a salvare, gli anziani trasportati nelle carriole, i cadaveri. Quello era l’esodo!

Monica Morin

Allora, come vivrà Monique gli eventi che si terranno il prossimo giugno a Carentan? Fedele all’abitudine che aveva con il defunto marito, parteciperà alla cerimonia di Cavoli e sul Piazza della Repubblica, per accogliere i veterani. A lei importa.

Perché le cerimonie in memoria di tutti questi giovani soldati morti in combattimento per liberarci sono dignitose, rispettose e necessarie.

Monica Morin

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