i giuramenti di Hervé Le Tellier in “Il nome sul muro”

i giuramenti di Hervé Le Tellier in “Il nome sul muro”
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Scommettiamo che per un oulipiano certificato come Hervé Le Tellier, astenersi da qualsiasi gioco stilistico è… il vincolo supremo. Questo rischio, “l’uomo da 1,5 milioni” (di copie vendute) lo ha corso per il suo libro dopo – il libro dopo questo Anomalia che, nel 2020, lo ha reso il numero uno dell’intera storia del Goncourt. Il prossimo libro, quindi, si intitola Il nome sul muro. E questo nome è quello di un perfetto sconosciuto: André Chaix, nato nel 1924 e “morto per la Francia” nell’agosto 1944. “Al Chemin des Lièvres, a Grignan, il 22 agosto, una colonna di carri armati tedeschi si mosse verso nord, seguita da un’autoblinda. Rotola verso di loro un distaccamento FTP di 3 e Battaglione Morvan, che va verso il fronte. In uno dei camion, con altri dodici combattenti della resistenza, André. Sulla fiancata del suo camion c’è scritta una parola con vernice bianca: “Speranza”.” documenti Le Tellier. Chi non sapeva nulla di questo giovane prima di ritrovare le dieci lettere del suo nome e cognome incise a punta nell’intonaco greige della facciata lato strada della casa da lui acquistata nel cuore della frazione di La Paillette, a Montjoux, vicino a Dieulefit, nella Drôme provenzale.

Diciamolo subito: non sapremo chi ha scritto questo nome sul muro; “nessuna delle persone” che Le Tellier interrogato non ha potuto dirglielo. Questo racconto investigativo, invece, fa luce sulla libertà di un normale combattente della resistenza morto all’età di 20 anni. Il 23 maggio sarebbero stati 100 e dovreste leggere Il nome sul muro come celebrazione personale e sentimentale del centenario di questa nascita. E le foto riprodotte, invece di appesantire spesso la narrazione, introducono luce e leggerezza nel testo, e non solo perché André Chaix “qualcosa come un giovane Jean Gabin o un Marlon Brando”. Ciò che disturba è la sua semplicità, anche quando lo vediamo in piedi, con gli stivali, a cavallo! Ma questa è la fine. Nel frattempo Le Tellier si è messo in sintonia con questa semplicità, invitandoci a un viaggio intimo, molto intimo, nella Francia di Vichy, un’epoca che, confida, è “costituito”.

Libro: da un acquario all’altro

L’esposizione ti cattura. Rinunciando agli schermi e alle altre distanziazioni di cui è campione, Le Tellier si avventura in un campo, umile e spogliato, di primo grado. E poiché non fa le cose a metà, va lontano, lontano, lontano. La sua penna rintraccia artifici come scrivere posture, impegnandosi in tempo reale in un’introspezione nuda e senza pretese. Le Tellier propone una mise en abyme priva di civetteria, cioè privata della sua ragion d’essere. Vedi invece: “Lasciare questa breve frase in riga mi fa sentire a disagio. Il paragrafo è sempre una decisione letteraria, a volte è estetica, e all’improvviso temo l’insincerità dietro l’effetto stilistico, quando lo stile migliore deve essere dimenticato. Perdonatemi in anticipo se sbaglio una frase troppo grande, un modo di dire indecente e affettato, una metafora che sfocia nel lirismo o nella magniloquenza. » E per ribadire il concetto: “Ho cercato di non farlo, anche se a volte avrei voluto farlo. »

Un libro di Le Tellier senza derisione

È necessario, caro Hervé Le Tellier, attestare la buona fede di un voto di umiltà scritturale, amputare queste frasi embrionali dei complementi-oggetto che signora-la-sintassi-nostra-madre-esige a tutti? ” Mi creda […]ho cercato di non imbrogliare”, insiste due pagine dopo. E ancora, poco dopo: “Non mi viene in mente la minima ironia. »

Un libro di Le Tellier senza derisione avrebbe potuto essere come una birra senza schiuma. Non è così. Perché anche il primo grado gli va bene. La sua ira vince avanzando lì senza velo. Comincia inserendo commenti suggestivi qua e là: “Non so se la clemenza sia il mio punto forte. » Poi, nella pagina successiva: “Non trovo alcuna indulgenza verso coloro che, in Francia e altrove, hanno permesso che il loro odio, ma soprattutto la loro codardia o il loro carrierismo, definissero il loro destino. » Prima di tuonare puro e semplice: “Non vorremo sfoggiare una collezione firmata qui. Inezie per un massacroun’ignominia di Macerie di Rebatet, una di quelle luccicanti logorree di odio antisemita provenienti da scrittori molto francesi, affermati e colti. Resta di moda indulgere nei testi peggiori di queste persone e meravigliarsi dell’audacia degli eccessi criminali – e io vi ho colpevolmente ceduto. Si è detto di tutto di una Céline che pretendeva così tanto sangue ebraico da far arrabbiare persino Otto Abetz, l’ambasciatore del Reich in Francia. Ma che figure nuove! Guarda Céline, l’esilio maledetto! Ripeti il ​​dandy, il sopravvissuto! Brasillach l’enfant terribile, fotografato come esempio! Ah, questo stile diabolico, signora, questo volo ricco, signore! Leggere queste “piccole yurte”, questa “feccia schifosa”, questi “ebrei bastardi” e tutti questi vibranti punti esclamativi… sospensione… che genialità! Come non rabbrividire per l’estasi letteraria? Come sfuggire allo spasmo estetico? ti faccio la domanda! Anche la buona borghesia tedesca, quando ricevette Hitler in porcellana e cristallo, si infuriò all’idea che sotto il frac quel delinquente portasse una pistola… Non siamo fuori tema. Naturalmente, scommetto, André Chaix non aveva letto i loro opuscoli che incitavano all’omicidio, non aveva mai aperto Le Pilori O sono ovunque, giornali che non avevano molti abbonati a Dieulefit. Ma questo momento di esasperazione contro i seminatori di odio non ci allontana da lui. Anzi. Anche contro loro combatté, e a causa di gente come loro morì a vent’anni. » Le Tellier dovrebbe uscire dai cardini più spesso.

Il nome sul muro, Hervé Le Tellier, Gallimard, 176 pagine, 19,80 euro. (© LTD / CORENTIN FOHLEN PER LA DOMENICA DELLA TRIBUNA)

Il testo si trasforma poi in un monito politico. Lo scrittore elenca i nomi dei “ex nazisti francesi presenti alla fondazione dell’antenato del Raggruppamento Nazionale”. E lo ripete: “Decisamente no, la clemenza non è il mio forte. Se sui monumenti ai caduti è scritto che André, Célestin e molti altri “sono morti per la Francia”, allora queste persone hanno vissuto contro di essa, e così hanno fatto coloro che li hanno succeduti e perpetuano le loro ossessioni. Non discutiamo di tali idee, le combattiamo. Poiché la democrazia è una conversazione tra persone civili, la tolleranza finisce con l’intollerabile. Chi semina odio verso il prossimo non merita l’ospitalità di una discussione. Chi vuole la disuguaglianza tra gli uomini non ha diritto all’uguaglianza in cambio. Mi si addice la formula lapidaria dello storico e combattente della resistenza Jean-Pierre Vernant: “Non discutiamo di ricette di cucina con i cannibali”. » Stanchi, stanchi, per contrastare l’ascesa politica dei discendenti di Jean-Marie Le Pen, ci sono tutte le ragioni per credere che non basterà fare appello, anche se furiosamente, alla Storia…

Il fallimento del salvataggio

Ci ha messo in guardia fin dalle prime pagine, definendo quest’opera come ” un libro […] su questo giovane e su ciò che penso di sapere su di lui e su di me. L’intreccio permette allo scrittore di rivelarsi. Così fa la sua comparsa il suo amico Marc Levy quando Le Tellier viene a raccontare il fallimento del salvataggio dei deportati del ” treno fantasma “, soprannome di uno degli ultimi convogli di deportazione a lasciare la Francia per Dachau. “Tra i prigionieri di questo treno fantasma c’erano due giovani fratelli di venti e ventuno anni, membri dell’FTP-MOI, Claude e Raymond Lévy. Trent’anni dopo, Raymond ebbe due figli, Marc e Lorraine, futuro scrittore e regista. Ero loro amico e fu a diciotto anni che appresi un frammento della storia dal loro padre. »

Poco prima nel testo, abbiamo scoperto, sganciato come una bomba al termine di una frase, il suicidio della giovane donna da lui amata, Piette, quando aveva 20 anni. Le righe che dedica al modo in cui loro “impegnato” il primo giorno di primavera del 1977, all’alba, “nella stanza ancora buia” della fanciulla, ardono modestamente di assolutezza. “Mi ha svegliato per improvvisare una cerimonia burlesque, una tenera e segreta presa in giro. Sui capelli neri Piette aveva messo un centrino ricamato; sul mio un asciugamano bianco a quadretti rossi. Dovevo ripeterle dietro a bassa voce “Vorrei Piette, anche molto molto molto vecchia e molto molto brutta”, “Leggerò a Piette ogni sera ilOdissea così che si addormenti”, “Ci saranno sempre chouquettes per Piette a casa” e altri trenta giuramenti. Ero commosso, e anche terrorizzato, perché sentivo quanto le sue stesse stravaganze mi impegnavano per sempre.” Il primo grado ha qualcosa di insuperabile: riesce a far volare l’intensità più in alto di tutti i virtuosismi ironici. Esprimiamo il desiderio: un articolo che inizia con una scommessa non dovrebbe finire con un desiderio? – che Le Tellier ne è ormai convinto quanto noi.

Il nome sul muro, Hervé Le Tellier, Gallimard, 176 pagine, 19,80 euro.

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