la regista Audrey Diwan ci regala la sua versione di “Emmanuelle”

la regista Audrey Diwan ci regala la sua versione di “Emmanuelle”
la regista Audrey Diwan ci regala la sua versione di “Emmanuelle”
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Come sei arrivata a filmare la tua “Emmanuelle”, un nome sulfureo che continua a far fantasticare il mondo intero?

Il mio produttore mi ha dato il romanzo di Emmanuelle Arsan, che ho letto, ma non mi aspettavo affatto di adattarlo. Quanto al di Just Jaeckin “Emmanuelle”, non sono mai riuscito ad arrivare alla fine. Non mi sono sentito coinvolto. D’altro canto, il libro, scritto in prima persona da una donna su una donna, mi ha parlato, nonostante alcune idee molto datate sul patriarcato e il colonialismo trionfante.

Qual è stato il fattore scatenante?

Leggendo un brano del libro sulla filosofia dell’erotismo, mi sono chiesto se potessimo istituire l’idea di bellezza in questa riflessione, celebrare il corpo e inventare un linguaggio cinematografico in cui mostriamo meno per suggerire di più. Insomma, l’esatto contrario della pornografia che mostra e impone i suoi codici allo spettatore. Preferisco sollecitare la sua immaginazione lungo tutto il racconto privilegiando il fuori campo, ciò che non vediamo ma intuiamo.

Come vedi Emmanuelle 2024, dopo #MeToo?

Come una donna misteriosa e solitaria, che ha un rapporto meccanizzato con il mondo e non si lascia ingannare dal paradiso artificiale in cui vive. Infatti, non prova più piacere e cerca di ritrovarlo attraverso le sensazioni, e lasciando andare gradualmente. Non è più oggetto di fantasie maschili come nel primo film, ma soggetto del proprio desiderio e del piacere che cerca.

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Audrey Diwan e la sua attrice Noémie Merlant che interpreta il ruolo principale di Emmanuelle (Foto Manuel Moutier)

Non è rischioso rivisitare, anche in modo diverso, un monumento erotico come Emmanuelle, uscito sugli schermi appena cinquant’anni fa e che ha fatto il giro del mondo?

Lo so, ma ho un gusto per l’ignoto e l’avventura. Non voglio vivere in ciò che è acquisito, limitarmi. Attraverso questo film, ho voluto mettere in discussione il mio percorso di donna, il mio rapporto con la sessualità, con il piacere e il mio desiderio di liberarmi dalle regole e dai codici della seduzione e del sesso. Volevo anche sfuggire a questo imperativo che ci impone di godere di tutto e di esibirci, nel senso capitalista del termine.

Perché hai pensato che Noémie Merlant fosse l’attrice ideale per interpretare il ruolo della protagonista?

Perché calza a pennello il personaggio, misterioso e sfuggente allo stesso tempo, sorridente o agghiacciante, chiusa nella sua armatura, un po’ assente. Mi è piaciuta molto in “Ritratto della giovane in fiamme” di Céline Sciamma e in “Tàr” di Todd Fields, dove ho notato che recitava bene in inglese. Il che si adattava alla mia idea di girare questo film in inglese, nell’atmosfera ovattata e irreale di un grande hotel di Hong Kong.

Cosa simboleggia l’arredamento esotico e perfettamente liscio di questo locale, dove Emmanuelle sembra essere prigioniera?

È come uno spazio mentale, irreale, tra sogno e fantasia. C’è l’arredamento e il backstage, tutte queste persone che lavorano per il benessere degli altri. È un hotel mondiale, in cui Emmanuelle lavora nel controllo qualità. È lì per notare la qualità dei servizi offerti, misurare il godimento di una ricca clientela cosmopolita e monitorare il regista interpretato da Naomi Watts. Si evolve in un mondo di perfezione fabbricata e sembra racchiusa in questo paradiso artificiale, anestetizzata, come il suo corpo.

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Audrey Diwan, sabato 7 settembre 2024, sul red carpet del Deauville American Film Festival. (Foto André Héliou)

Proprio la presenza della bionda Naomi Watts, attrice lynchiana per eccellenza fin da “Mulholland Drive”, non è un caso.

Ha un lato che è allo stesso tempo gentile e inquietante, sorridente e distante, capace di avere molti volti. Sa come trasportarti in un mondo sconosciuto tra freddezza e seduzione. La sua presenza si aggiunge al lato velenoso, strano, paranoico e sensoriale che volevo dare al film.

Come hai lavorato sulle scene di sesso che aprono e chiudono il film?

Con Noémie, che ha la sua coreografa e coach dell’intimità, Stéphanie Chene, abbiamo lavorato molto prima delle riprese per dare un senso a queste scene che non dovevano trasformarsi in controfigure. Ho preso due scene d’amore dal libro: una sull’aereo e la seconda, un trio. Non volevo cadere nel voyeurismo. Noémie padroneggia perfettamente il linguaggio del suo corpo, che suona come uno strumento. Il che la rende più libera, più sicura di sé.

All’epoca del primo film, si diceva che Emmanuelle fosse un’eroina femminista perché rivelava i suoi desideri. Cosa ne pensi?

Non credo. Era più un oggetto di fantasie maschili. La vedo più come un personaggio che scopre il proprio piacere e fa sì che l’orgasmo femminile non sia più solo una convalida del piacere maschile.

Un personaggio chiave del film, Kei (Will Sharpe), ammette di “aver esaurito i suoi desideri” e sembra completamente fuori gioco.

Per quello ?

Per me è prezioso perché simboleggia una mascolinità dissidente, una forma di impotenza di fronte a Emmanuelle che è affascinata dall’immagine che trasmette.

Possiamo immaginare Emmanuelle oggi felice e realizzata?

Sì, a patto che immaginiamo che sia riuscita a riscoprire il proprio piacere. In effetti, l’ingiunzione che do al mio personaggio è semplice: sii libero e non cercare di vivere sotto lo sguardo degli altri.

“Emmanuelle”, nei cinema dal 25 settembre.

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