82 morti e 156 feriti in tre giorni, perché il Paese brucia?

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Attraversato da luglio da un conflitto tra sciiti e sunniti, il Pakistan sperimenta dalla scorsa settimana una recrudescenza della violenza. Gli scontri sono legati a dispute tribali, religiose e fondiarie.

Intervallato da diverse tregue, il conflitto tra sunniti e sciiti non si ferma da luglio in Pakistan. Da giovedì 21 novembre il Paese vive nuovi scontri, spesso legati alla spartizione delle terre. Domenica le autorità hanno contato 82 morti e 156 feriti in tre giorni.

Negli ultimi mesi gli scontri hanno imperversato a Kourram, sulle montagne al confine con l'Afghanistan, nel nord-ovest del Pakistan. Gli sciiti affermano di essere discriminati da tempo e, in tutto il Paese, i pakistani accusano la polizia di non riuscire a proteggerli.

Questa violenza affonda le sue radici nelle controversie tribali, religiose e fondiarie e le autorità locali affermano di non essere in grado di farvi fronte, a causa della mancanza di polizia e personale amministrativo. Sia i governi federali che quelli provinciali lottano per far rispettare la legge nonostante i codici d’onore tribali.

Per decenni, sciiti e sunniti non hanno esitato a usare armi pesanti per ogni nuovo episodio di violenza. Negli ultimi giorni centinaia di famiglie sono fuggite in altre città e, da luglio, il conflitto ha provocato più di 160 morti secondo fonti attendibili.

Il 21 novembre, una decina di attentatori hanno sparato su due convogli che trasportavano famiglie sciite sotto scorta della polizia. Nei due giorni successivi, gli sciiti hanno effettuato incursioni nei quartieri sunniti per rappresaglia, bruciando centinaia di negozi e case.

La tregua rotta

Dall’estate scorsa, le ostilità non hanno mai conosciuto più di qualche settimana di calma, nonostante le tregue decretate dai consigli tribali. L'ultima è stata annunciata il 24 novembre dal governo della provincia di Khyber-Pakhtunkhwa. I due campi concordarono una tregua di una settimana per “scambiare i prigionieri e restituire i corpi”.

Ma, secondo il leader del distretto di Kourram, Javed Ullah Mehsud, la tregua è stata rotta il giorno successivo con “scontri e sparatorie […] segnalato in vari luoghi. Secondo una fonte della polizia dell'AFP, i due campi tengono anche “18 persone in ostaggio, tra cui otto donne”.

Di fronte a questa situazione esplosiva, lunedì 25 novembre gli Stati Uniti hanno invitato le parti alla calma. Il portavoce della diplomazia americana, Matthew Miller, ha esortato i belligeranti “a manifestare pacificamente e ad astenersi da ogni violenza”, mentre ha chiesto alle autorità pakistane “di rispettare i diritti umani e le libertà fondamentali”.

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