Gli undici oppositori politici maliani arrestati all’inizio di questo mese sono stati mandati in prigione. Divisi in due gruppi, furono incarcerati a Koulikoro e in una nuova prigione vicino a Bamako. Famiglie e gruppi per i diritti umani hanno definito la mossa una grave battuta d’arresto per un Paese in cui la giunta ha sospeso tutte le attività politiche.
Sono accusati di attentato, cospirazione contro il governo, opposizione all’autorità legittima e violazione dell’ordine pubblico, ma non sono stati ancora processati. Ousmane Diallo, ricercatore di Amnesty International, ha affermato che gli arresti mostrano un modello di abuso dei diritti civili e politici in Mali.
Questa ONG ha denunciato la repressione degli oppositori, lo scioglimento dei partiti politici e il divieto di ogni attività politica, criticando l’uso della forza per impedire ai cittadini di esprimere le proprie opinioni. Ad aprile, la giunta ha sospeso tutte le attività dei partiti e delle associazioni politiche. I partiti politici hanno presentato ricorso contro questa decisione, ma la data della revisione di questo ricorso da parte della Corte Suprema rimane incerta.
Alioune Tine, fondatore del Centro AfrikaJom ed esperto delle Nazioni Unite, ha chiarito che la crisi della sicurezza può essere risolta solo attraverso il rispetto del pluralismo politico e non attraverso la repressione, aggiungendo che la giunta sta spingendo il Paese verso un vicolo cieco politico. All’inizio di giugno, una coalizione di partiti contrari alla giunta ha indetto proteste contro la carenza di elettricità e il costo della vita, chiedendo al contempo il ritorno all’ordine costituzionale.
Yeri Bocoum, l’unico attivista a coprire l’evento, è stato rapito da uomini armati l’8 giugno e da allora la sua famiglia non ha avuto più notizie di lui. Le autorità maliane vengono criticate per la loro gestione autoritaria, mentre la repressione contro i dissidenti suscita preoccupazione nella comunità internazionale e nei difensori dei diritti umani.
