lLe richieste di boicottaggio (accademico) di Israele stanno diventando sempre più pressanti, e non solo dall’esterno. Alla fine di ottobre, circa 3.000 israeliani, tra cui eminenti veterani della lotta contro l’occupazione, hanno lanciato un appello alla comunità internazionale, su giornali come Liberazione, Il Guardiano et La mattinadi “utilizzare tutte le sanzioni possibili per imporre un cessate il fuoco immediato”.
Avete letto bene, gli israeliani chiedono sanzioni perché credono che il paese non possa più sfuggire all’attuale logica genocida che sta commettendo in totale impunità da più di un anno. Tra i firmatari più noti figurano la professoressa Aliza Shenhar, ex rettore dell’Università di Haifa, e il professor Lev Grinberg, ex presidente della Società sociologica israeliana. Il sostegno di queste figure e di altre che, prima, non si erano mai pronunciate a favore della pressione internazionale, sottolinea l’urgenza di questo appello.
“Salvaci da noi stessi” – non con parole vuote, ma con azioni potenti
L’appello di queste migliaia di manifestanti israeliani è chiarissimo: senza pressioni esterne, Israele continua a credere di poter fare qualsiasi cosa. Grazie alla continua cooperazione internazionale e alle forniture di armi, l’opinione pubblica israeliana dà per scontato che Israele goda di carta bianca e che qualsiasi violazione sia tollerata. Nel frattempo vengono commessi crimini di guerra sempre più atroci, come la pulizia etnica che l’esercito israeliano ha recentemente intrapreso nel nord di Gaza.
I critici israeliani affermano che la loro società è priva di un efficace contropotere interno. È molto chiaro che le università israeliane, come istituzione, sostengono la guerra ed emarginano le voci critiche interne.
Pertanto anche le nostre istituzioni, comprese le università belghe, devono ora recidere i loro legami con le istituzioni israeliane e annullare gli accordi di cooperazione. Questo è il nostro dovere morale e legale, anche nei confronti dei nostri colleghi accademici palestinesi, molti dei quali sono stati assassinati mentre le loro università venivano cancellate dalla faccia della terra – mentre le università belghe continuavano a chiacchierare senza muovere un dito.
Leggi anche
Queste istituzioni culturali che si dichiarano “zone libere dall’apartheid”
Ci aspettiamo che le nostre università facciano pressione, insieme ad altre università europee, affinché le università e le aziende israeliane siano escluse dai programmi di finanziamento europei e, in ultima analisi, affinché l’accordo di associazione venga sospeso.
Inoltre, l’appello israeliano mostra chiaramente perché un boicottaggio accademico completo è l’unico modo per forzare il cambiamento, e perché le controargomentazioni avanzate dalle istituzioni accademiche belghe sono insufficienti. Con così tanti israeliani critici che chiedono collettivamente un boicottaggio, la retorica tradizionale secondo cui un boicottaggio accademico ed economico colpirebbe anche gli israeliani critici nei confronti del loro governo, e che un tale boicottaggio soffocherebbe le poche voci dissenzienti rimaste, potrebbe – finalmente – essere gettata nell’oblio. . Sembra che accada il contrario: è proprio a causa dell’assenza di pressione internazionale che i massacri continuano e che la società israeliana e le poche voci critiche perdono sempre più il controllo sulla politica del governo.
Sanzioni severe potrebbero contribuire a invertire questa dinamica e ridurre il sostegno alle politiche governative. Quante volte abbiamo sentito i governi dichiararsi “scioccati” ed esprimere “disgusto” per presunti “eccessi” da parte dell’esercito israeliano – senza che ne sia seguita alcuna azione concreta?
Le università belghe, finalmente, mostrano un po’ di coraggio e umanità
Eminenti accademici israeliani come Ilan Pappe e Maya Wind chiedono da anni un boicottaggio accademico. Sanno meglio di chiunque altro che senza la pressione internazionale un vero cambiamento in Israele è impossibile. Queste sono voci coraggiose – e sono quelle che chiedono azioni concrete. Di quale ulteriore pressione hanno bisogno le nostre università belghe per dichiarare finalmente la loro solidarietà e fare una chiara scelta etica contro le politiche di apartheid di Israele?
Non si tratta solo di accademici – e questo vale anche per noi –. Non solo il governo israeliano opprime sistematicamente i suoi cittadini non ebrei e i residenti palestinesi dei territori occupati, ma trascura anche la sicurezza dei propri residenti. Una politica di pulizia etnica e di occupazione militare sta portando la società nell’abisso. Quanto forte dovrà essere la critica israeliana prima di essere ascoltata?
Leggi anche
Guerra Israele-Hamas: il boicottaggio culturale contro Israele è una buona idea?
È giunto il momento che le nostre università belghe smettano di nascondersi dietro argomenti deboli e indegni di un’istituzione accademica. L’idea che un boicottaggio possa colpire le “voci libere” perde ogni credibilità quando quelle stesse voci libere chiedono all’azione. Consideriamo la rottura dei legami con le istituzioni israeliane un obbligo legale, per garantire di non essere complici di questi crimini. Un simile boicottaggio colpirebbe le istituzioni, non le singole voci critiche – con le quali la cooperazione è sempre possibile.
Inoltre, l’argomentazione secondo cui i progetti di cooperazione con le università israeliane non hanno nulla a che fare con la guerra – ad esempio perché si concentrano sulla ricerca medica – è del tutto fuori luogo, come dimostrano l’appello anche i firmatari israeliani. Un boicottaggio accademico è essenzialmente un rifiuto morale di un regime violento. È proprio inviando questo segnale che il boicottaggio universitario può dare più peso alle voci dissidenti all’interno del regime.
Ciò che chiediamo ora alle nostre università è di essere la bussola morale della società e di mostrare un po’ di coraggio istituendo un boicottaggio accademico totale. Finché esisteranno l’apartheid, il razzismo e l’oppressione dei palestinesi, le istituzioni educative e di ricerca belghe non devono essere complici passivi di un regime criminale.
Durante l’era del regime di apartheid del Sud Africa, i critici temevano che le sanzioni avrebbero danneggiato la popolazione, ma la pressione internazionale si è rivelata la chiave per il cambiamento. Oggi ci troviamo ancora una volta di fronte a questa scelta: continueremo a nasconderci dietro parole vuote e “disgusto” diplomatico o oseremo davvero lottare per la giustizia? È tempo che le università belghe si assumano finalmente la responsabilità, smettano di guardare dall’altra parte e inizino subito il boicottaggio accademico di Israele.
*Primi firmatari: Gert Van Hecken, Hoofddocent, Instituut voor Ontwikkelingsbeleid, UAntwerpen; Itamar Shachar, docente di sociologia, UHasselt; Anastasia Joukovsky, ricercatrice, ULB Heinz Hurwitz, professore emerito, ULB; Barbara Van Dyck, Ricercatrice, AgroecologyLab, ULB; Bernard Delvaux, collaboratore scientifico, UCLouvain; Carla Nagels, docente presso la Facoltà di Giurisprudenza e Criminologia, ULB; Christine Servais, Professore, ULiege; Corentin Debailleul, geologo, ULB; David Gall, docente presso la Facoltà di Medicina, ULB; Déborah Brosteaux, Ricercatrice Post-dottorato, ULB; Elena Aoun, Professore di Relazioni Internazionali, UCLouvain; Elsa Roland, docente di scienze dell’educazione e della formazione, FaSEF, UNamur; Fanny Arnulf, dottoranda, ULB; Francine Bolle, docente all’ULB, al Campus du Solbosch e all’UCampus Charleroi; Thomas Hausmann, Assistente, ULB; Gonze Xavier, Professore UCLouvain; Klimis Sophie, professore ordinario UCLouvain, Saint-Louis-Bruxelles; Leila Mouhib, docente dell’ULB e docente dell’UMONS; Marc-Antoine Gavray, Ricercatore, FNRS/Uliège; Marie Ruyffelaere, dottoranda, OMAM, ULB; Marie-Christine Closon Professore Emerito, UCLouvain; Mathilde Lucic, dottoranda, ULB David Jamar, professore alla UMONS; Natalie Rigaux, professoressa dell’Unamur; Nouria Ouali, professoressa emerita, ricercatrice presso il centro METICES, ULB; Omar Jabary Salamanca, Ricercatore, ULB; Perrine Humblet, pro onorario dell’ULB Michel Gevers, professore emerito dell’UCLouvain; Sylvie Carbonnelle, Assistente, ULB; Thomas Barrier, Docente, Facoltà di Psicologia, Scienze dell’Educazione e Logopedia, ULB; Danya Nadar, Doctoraatsonderzoeker, Instituut voor Ontwikkelingsbeleid, UAntwerpen; Dounia Bourabain, docente di sociologia, UHasselt; Guido Van Hecken, ex capo attivista anti-apartheid; Hilde Heynen, Professore Emerito, Dipartimento di Architettura, KU Leuven; Jihane Sliti, Doctorandus, Faculteit Economische en Sociale wetenschappen, VUB; Karel Arnaut, professore di antropologia sociale, KU Leuven; Lena Imeraj, Professoressa di Sociologia degli Studi Urbani, VUB; Lieven De Cauter, prof. em. dipartimento di architettura, KU Leuven; Matthias De Groof, Docente, Faculteit Sociale Wetenschappen, UAntwerpen; Nadia Fadil, professoressa sociale di antropologia culturale, KU Leuven; Nele Aernouts, Docente, Dipartimento di Geografia, VUB Thomas Van Riet, Professore Natuurkunde, KU Leuven; Paolo SH Favero, Dipartimento Communicatiewetenschappen, UAntwerpen; Philippe Meers, Gewoon Hoogleraar, Dipartimento Communicatiewetenschappen, UAntwerpen; Roschanack Shaery-Yazdi, Hoofddocent, Dipartimento Geschiedenis, Uantwerpen; Saddie Choua, docente RITCS e Sint-Lucas Antwerpen; Sami Zemni, Professore Politieke Wetenschappen, UGent Marlies De Munck, Assistente medico Wijsbegeerte, UAntwerpen; Guido Vanham, Professore Emerito, Instituut voor Tropische Geneeskunde, UAntwerpen; Tomaso Ferrando, Hoofddocent, Faculteit Rechten en Instituut voor Ontwikkelingsbeleid, UAntwerpen.