Qual è stato l’approccio scelto per “Gli Avventurieri del Gusto”?
Il tema del cibo è già stato ampiamente trattato. Abbiamo scelto di guardare al percorso di acquisizione del gusto nei bambini, ma anche al rapporto che il genitore può avere con il cibo, che genererà comportamenti alimentari. L’idea non è quella di giudicare, ma di permettere a ciascuno di riflettere sul proprio rapporto con il cibo, e di prendere coscienza dell’impatto che esso può avere sui bambini.
Quando prepariamo un argomento come questo, il presupposto è quello di andare a osservare come succedono le cose all’interno delle case?
Fa parte del lavoro, certo, e ci sono anche gli incontri di redazione, a monte, con i membri di Preparati per il domani, composta da genitori e professionisti. Raccontano aneddoti e parlano di oratori che hanno ascoltato. Prendo appunti e faccio le mie ricerche. Propongo allora loro uno scritto, prima di andare ad approfondire con i relatori.
Il tuo modo di lavorare è cambiato?
Seguiamo sempre la linea del “Prepariamoci al domani”, che è non giudicare e non dare ricette, non cristallizzare le cose nelle famiglie che filmiamo. Cerchiamo di affinare il nostro approccio nel corso dei documentari. Una cosa è certa: tra i primi film e oggi possiamo osservare una notevole differenza di trattamento. Penso che stiamo cercando di avvicinarci sempre di più alle sequenze di osservazione. I relatori occupano sempre un posto essenziale, ma più si avanza, più si tende a ridurre il discorso e ad offrire questa possibilità di osservazione.
Quanto dura ogni film?
Ci vogliono cinque mesi di lavoro distribuiti su un anno, comprese tre settimane di riprese, due mesi di post-produzione, comprese dalle cinque alle sei settimane di montaggio. L’unica cosa che non faccio è il mixaggio del suono!
