Per l’ultima creazione del suo mandato alla guida della Comédie Française, Eric Ruf firma la messa in scena e l’adattamento del capolavoro di Paul Claudel, “Le Soulier de satin”, sette ore di spettacolo trasportate dall’incandescenza degli attori e dalla bellezza delle I costumi di Christian Lacroix. È un vero e proprio viaggio nel cuore del teatro e della poesia, da vivere come un’esperienza unica.
Una storia d’amore dai tempi dei Conquistadores
“Tutto deve sembrare provvisorio, in divenire, sciatto, incoerente, improvvisato nell’entusiasmo! Con successi, se possibile, di tanto in tanto, perché anche in disordine, monotonia deve essere evitata. » Così Paul Claudel, poeta e drammaturgo che trae ispirazione tanto dalla Bibbia quanto dai suoi viaggi diplomatici in giro per il mondo, selvaggio alla maniera di Arthur Rimbaud e abitato da un profondo misticismo, presenta quest’opera-mondo, un faro di teatro epico e lirismo allucinatorio. L’opera, composta tra il 1918 e il 1924, si svolge nell’arco di trent’anni, durante il Rinascimento spagnolo e la conquista dell’America, e prosegue nel XVII secolo con la creazione di stazioni commerciali coloniali in Asia e Africa. Ma questo sfondo è lì solo per servire una storia d’amore sublime e impossibile, quella che conquista con un fuoco ardente Doña Prouhèze, interpretata con sorprendente forza da Marina Hands, e Rodrigue, mentre Prouhèze è la moglie ufficiale del governatore Don Pélage. Questa commedia, raramente messa in scena, sfida attori e spettatori a fare l’impossibile.
Epica spettrale
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Quattro giorni, che condensano da soli un terzo di secolo, ci portano su una nave naufragata dall’Oceano Atlantico alla costa africana. Impossibile riassumere con chiarezza questa trama che intreccia selvaggiamente la passione romantica di una giovane donna e l’autorità politica e militare dell’anziano marito; il bisogno maschile di conquiste e la sadica perversità di un cugino malvagio, Don Camille, così come il coraggio allucinato di Doña Musique, lei stessa che sogna il re di Napoli per sfuggire al matrimonio forzato. Questi quattro giorni, che attraversano la Cittadella di Mogador a Essaouira in Marocco, le coste della Sicilia, Panama e il Giappone, costituiscono anche lo specchio della vita diplomatica e sentimentale di Claudel, facendo eco al suo amore impossibile per Rosalie Vetch, una donna sposata che aveva tornare in Europa per partorire. Corpo e anima turbinano in una lotta impossibile e costituiscono il filo conduttore di questa telenovela dove passione cristiana e desiderio carnale si contrappongono, nell’utopia di un amore totale, assoluto, definitivo.
Uno spettacolo totale
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Eric Ruf, grande amante di Claudel da moltissimo tempo, ha iniziato a lavorare a quest’opera durante il parto con la lettura rappresentata di ciascuno dei quattro giorni a tavola. Oggi, le undici ore di rappresentazione teatrale, ideate da Antoine Vitez nella Cour d’Honneur del Festival di Avignone, si riducono a sette ore di spettacolo intervallate da pause, con tagli nel testo iniziale. Ma soprattutto la preoccupazione del regista è stata quella di rendere questo testo vivo e vibrante, di far ardere il linguaggio insieme al corpo degli attori. Il successo di questo spettacolo, applaudito in piedi alle 23,30 quando cala il sipario, è proprio dovuto a questa effervescenza di ritmo e di corpi, che trasporta il testo con energia sensuale. Sull’immenso palcoscenico nudo, un trio di musicisti, Vincent Leterme alla direzione e al pianoforte, Merel Junge al violino e alla tromba e Ingrid Schoenlaub al violoncello, si siedono discretamente ed eseguono brani di Bach, Marais, Scarlatti o Schubert, con meravigliosa delicatezza. Nessun arredo, a parte qualche rara tela dipinta, interferisce con la nostra comprensione, ma una stretta passerella attraversa il mezzo alla marea di spettatori dell’orchestra: questa meravigliosa idea ci permette di vivere ogni momento con gli attori, in simbiosi. dello spettacolo, ogni emozione, per ammirare la loro interpretazione e la bellezza dei costumi.
Distribuzione brillante
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Come accennato, Marina Hands assume ora il ruolo di Prouhèze, precedentemente interpretato da sua madre, Ludmila Mikaël, nella produzione di Antoine Vitez. E Didier Sandre, che era Rodrigue nel 1987, assume oggi quella del marito della giovane, il governatore Pélage. Questo passaggio di consegne agisce come una rinascita teatrale: Marina interpreta il suo personaggio di eroina claudeliana come un’amante appassionata, vittima del destino politico e padrona di un destino che modella nel suo modo tremante. Questo ruolo di donna, dominata e potente allo stesso tempo, attraversa tutti gli stati di passione e disperazione con rara intensità. Quando striscia stracciata sulla passerella del palco, fuggendo dalla sua prigione dorata come un animale che corre tra i rovi verso la luce, quando fugge anche lei nell’aria, sirena appesa alla corda del suo angelo custode, sempre splendida, forte e fragile allo stesso tempo. Didier Sandre, dal canto suo, si cala con disinvoltura e finezza nel ruolo del marito con la malizia perversa e matura di un Machiavelli. Nel ruolo dell’amante Rodrigue, Baptiste Chabauty si rivela più alla fine dello spettacolo, un vagabondo celeste e storpio, che un venditore di immagini sacre. Florence Viala e Serge Bagdassarian si alternano nell’introdurre e commentare ogni dipinto, ogni giorno con grande talento e umorismo. Laurent Stocker è irresistibile nei panni di Balthazar e re di Spagna, Alain Lenglet il più mistico possibile, mentre Christophe Montien si rivela più diabolico che mai nei panni di Don Camille. I giovani residenti, Birane Ba, Sefa Yeboah, Edith Proust, si affiancano ad attori affermati, Christian Gonon, Danièle Lebrun, Coraly Zahonero e Suliane Brahim che formano entrambe un duo di magnifiche ragazze nell’ultima parte. Notiamo anche la sontuosa bellezza dei costumi di Christian Lacroix, il cui splendore non è mai appariscente, i ricami e i rasi di un’eleganza divina, nelle luci sapientemente sofisticate di Bertrand Courderc. Uno splendore.
Helen Kuttner