Successo sorprendente come questo primo Film a basso budget Trentasetteche parte lentamente come un film di genere per sorprenderci andando verso… qualcosa di più profondo. Consigliato!
Trentasette (il vero titolo del film, come appare nei titoli di coda, e non questo sbruffone e goffo 37: l’ombra e la preda inventato per il manifesto) inizia molto, molto bene: accompagniamo un tormentato camionista con pulsioni suicide nella sua giornata lavorativa, una giornata qualunque con gli amici che incontriamo, le conversazioni con l’ufficio, i clienti non facili. Alcuni troveranno questo inizio troppo lento, più “cinema francese” che “thriller americano”, o addirittura “thriller Netflix”: peccato per loro, Arturo Molard si prende il suo tempo per aiutarci a scoprire un mondo che incontriamo ogni giorno sulle strade, da cui dipende la nostra vita quotidiana, ma che non conosciamo. E costruire un personaggio complesso, ambiguo, al quale ci affezioneremo, che è ovviamente la base di ogni film che coinvolga emotivamente lo spettatore.
Quando Trentasette entra nella sezione thriller, al limite del “film di genere”, con le sembianze di un autostoppista affascinante a priori ma in realtà pericoloso (Melodia Siminaottimo…), temiamo che il film si impantani in una trama concordata, con L’autostoppista come modello. Ma lo scenario di Molardo è più intelligente, e soprattutto più profondo: mentre la tensione continua a salire – con grande efficacia nella narrazione, anche se la messa in scena non è ancora – è un’opera prima – in alto, gradualmente appare il vero soggetto del film . Un soggetto morale, un soggetto politico poiché, cosa estremamente rara nel cinema “mainstream”, affronta una delle più grandi sfide della nostra società attuale: il confronto tra un proletariato lavoratore ormai sull’orlo dell’impoverimento, del declassamento sociale, e una popolazione immigrata. sempre più “minaccioso” per lui a causa della sua disperazione. Questo non è niente, dà vero valore a questo Trentasette che va facilmente oltre il suo status di “piccolo film”, e si conclude anche con una scena magnifica, offrendo forse la speranza di una luce in questa storia molto, molto oscura. “ Benvenuto » (benvenuto, in portoghese) è infatti l’ultima parola intelligibile del film, ed è difficile non rimanerne turbati.
Ebbene, gli spettatori troppo razionali potranno criticare alcuni punti deboli dello scenario: il confronto con la polizia e la sua mancanza di conseguenze, la presenza di una giovane donna brasiliana in mezzo a un gruppo di migranti africani, la mancanza di iniziativa di ” Saint -Vincent” che immaginiamo a più riprese possa uscire dall’incubo che sta vivendo… Ma si tratta, in definitiva, di scorie di poco conto rispetto alla forza della storia che ci viene raccontata, e soprattutto rispetto alla bella ambiguità di personaggi i cui alla fine non conosceremo appieno la “verità”.
Bravo!
Eric Debarnot