ritratto di Maria Schneider come un’attrice distrutta

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Maria Schneider (Anamaria Vartolomei) in “Maria”, di Jessica Palud. ALTO E CORTO

L’OPINIONE DEL “MONDO” – PERCHÉ NO

Nel 1972 Maria Schneider aveva solo 19 anni quando Bernardo Bertolucci le offrì il ruolo da protagonista in Ultimo tango a Parigi, un sontuoso faccia a faccia attraversato da un romanticismo malato, una guerra dei sessi e delle generazioni: Adamo ed Eva regolano i loro conti, sullo sfondo di una Parigi vuota e sepolcrale, post-68. La giovane recita al fianco di un mostro sacro, Marlon Brando, 48 anni. È una scena in particolare che gli cambierà la vita: Brando si getta sulla giovane e la sodomizza usando il burro come lubrificante. Anche se la violenza sessuale è finta, l’attrice si sentirà addirittura umiliata “un po’ violato” di non essere mai stato informato della scena, istigato inconsapevolmente dall’attore e dal cineasta.

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Elevata al rango di sex symbol, a Maria Schneider vengono offerti solo ruoli simili a quello di L’ultimo tango, curiosi e giornalisti gli ricordano costantemente la famosa scena del pezzo di burro. È la storia eterna di giovani attrici che hanno osato spogliarsi sullo schermo, senza calcolare adeguatamente la grossolana misoginia che le attendeva fuori. Dopo una carriera movimentata e problemi di dipendenza, l’attrice è morta di cancro nel 2011, all’età di 58 anni. Da allora, il suo percorso accidentato è diventato l’emblema di tutti i fallimenti di un’industria cinematografica che dà carta bianca ai suoi amati autori, prestando poca attenzione al modo in cui trattano le loro attrici. Simbolo anche di un’epoca, gli anni Settanta, ormai sconfessata, che, sotto la copertura della liberalizzazione dei costumi, non è riuscita a vedere la sua parte di soprusi e cecità.

Maria adatta il libro di Vanessa Schneider, giornalista di Mondodedicato a suo cugino (Il tuo nome era Maria Schneider, Grasset, 2018). Inchiodata all’intimo, Jessica Palud prende solo, da una vita intera, i momenti di sfortuna e i tristi cambiamenti, trasformando rapidamente il film biografico in uno strano esercizio di martirologio: una madre tossica, un padre assente, l’attore Daniel Gélin, che riemerge nella sua vita e lo introduce nel mondo del cinema. L’indifferenza di Bertolucci, la droga: in extremis, una storia d’amore solare con uno studente.

Strano paradosso

Il film è interamente strutturato attorno alle riprese di Ultimo tango a Parigi. Questo si aspetta lo spettatore, questo è quello che è venuto a vedere, che conosca o meno il film di Bertolucci. Cosa ci dice questa sequenza ricostruita in modo piatto? Cosa suscita in noi? Non molto, poiché il fatto di condannare la passività della troupe cinematografica, che ha abbandonato Schneider al suo destino, serve solo a rassicurarci nella nostra virtù di spettatori illuminati.

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