Signora Ragazzo | La stampa

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In Il piccolo Robertola prima definizione della parola “serio” è: “che tiene conto di ciò che merita di essere”.


Pubblicato alle 00:58

Aggiornato alle 7:00

È una definizione bella, piena di significato e di profondità, con la parola “considerazione” che aggiunge una sfumatura di rispetto al verbo “prendere”, in cui sento un tocco di tenerezza. C’è anche la lentezza, una buona lentezza che ti prende il tempo, che presta tutta la tua attenzione, che guarda davvero. È vecchia scuola, nel 2024, “prendere in considerazione”, è al limite un po’ sovversivo, ma è anche abbastanza consensuale: nessuno si opporrebbe all’idea di vedere bene e apprezzare ciò che merita di essere.

Ma è qui che le cose diventano complicate. Come determiniamo cosa è meritorio e cosa no? Questa è una domanda che mi pongo ogni settimana, quando arriva il momento di scrivere questa rubrica. La prendo sul serio, sì, ma ho vissuto abbastanza per sapere che ciò che mi affascina e mi sembra subito degno di considerazione non è necessariamente affascinante agli occhi di tutti. Sono anche ben consapevole che la portata dei miei interessi è, dopotutto, piuttosto limitata: per quanto cerchi di ampliare i miei orizzonti, inevitabilmente guardo le rive dei fiumi, i rami spogli degli alberi morti e i fili tenui che collegano che si intrecciano tra l’uomo e la natura.

Forse è una cosa vecchia, un cambiamento che si verifica in molti nel corso degli anni, ma sento lezioni nel fruscio delle ali di un airone mentre vola via, percepisco una verità nell’andirivieni dei castori e nell’immobilità dei volpe in cerca di preda.

Ho anche il sospetto che queste lezioni e queste verità risiedano non tanto nella piuma degli uccelli o nell’attività dei mammiferi, ma nel tempo trascorso a guardarle, in quell’intervallo di puro presente attraverso il quale si può sfuggire un po’ di noi stessi.

Sicuramente è per questo che inevitabilmente torno ai gattini ritrovati e alle galline venute chissà da dove, ai topi orfani che vivono nel boschetto lì accanto e che sono accuditi da una mano invisibile (“Attenti ai bimbi orfani!”, diceva il cartello apparso una mattina “Tenete i vostri cani al guinzaglio (temporaneamente), grazie”), verso la generosità disinteressata delle persone verso gli animali.

Ma ho il sospetto che la mia taglia sia piuttosto piccola, che esistano, tutt’altro, mille altre verità che necessitano anch’esse di essere prese sul serio: il mondo ha bisogno di essere preso sul serio. Allora cerco altri argomenti, navigo un po’, faccio piccole incursioni dove crescono altri collegamenti, altri rami atti a portare all’idea che da qualche parte siamo tutti connessi.

Insomma, aspiro alla diversificazione, ma eccola qui: mia cognata ha addomesticato un cucciolo di corvo. Non era intenzionale, non avrebbe mai osato immischiarsi negli affari della natura senza essere invitata. Se c’è qualcuno che ama e rispetta ciò che cresce e respira intorno a noi, quella è lei.

Ma quando un piccolo corvo cadde prematuramente dal nido nella sua proprietà, lei era lì, con il suo immenso amore per tutto ciò che vive, e la sua invidiabile conoscenza dell’ornitologia di prima mano.

Non ha portato il corvo in casa, come altre persone che hanno sempre sognato di diventare l’essere umano più bello dell’universo vivendo la vita con un grande corvo sulla spalla (tipo, se prendo un esempio a caso, io) . Sapeva che i corvi sono tra i migliori genitori nel mondo aviario e che, secondo le sue parole, “il terreno fa parte del loro apprendimento”. Si è semplicemente assicurata che il piccolo fosse sano, protetto dai predatori e adeguatamente nutrito, integrando la sua dieta dandogli tuorli d’uovo o un pasto preparato da lei con piccole pinzette.

Nei piccoli video che mi manda, la sentiamo chiamare “Ragazzo! “, e una pallina irsuta arriva saltellando e gracchiando, è assolutamente bellissima. La scelta del nome era ovvia, perché diciamo “un” corvo, ma uno dei bambini ha suggerito “Madame Boy”, per ogni evenienza.

Da allora, Madame Garçon è tornata nel nucleo familiare ed è cresciuta vicino ai suoi genitori e ai suoi fratelli e sorelle, che hanno lasciato anche loro il nido. Lui o lei appartiene alla natura, alla grande natura selvaggia che possiamo percepire nel suo occhio immobile e azzurro. Ma abitiamo lo stesso universo, e Madame Garçon, come i gesti pazienti di mia cognata, ci invita a considerare che parte dell’essenziale forse è lì, in questi piccoli momenti di connessione che ce lo ricordano. Allora scrivo di Madame Garçon, con tutta la serietà del mondo.

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