La nuova giovinezza del cinema di Ousmane Sembène

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L’attrice senegalese Mbissine Thérèse Diop in “La Noire de…”, di Ousmane Sembène. INA-LES ACACIAS

Il Nero di…, del regista senegalese Ousmane Sembène (1923-2007), risale al 1966. Quasi sessant’anni dopo, il film continua a distinguersi per la sua ambientazione attenta, l’elegante bianco e nero e il suo tema delicato sulla violenza di classe e la colonizzazione. Nel 2015, è stato oggetto di un restauro realizzato da The Film Foundation – associazione lanciata nel 1990 da Martin Scorsese – e ha beneficiato di numerose proiezioni prestigiose al Festival di Cannes e al Festival Lumière di Lione. Ma è solo il 9 ottobre, data della sua uscita nelle sale, che il grande pubblico francese potrà (ri)scoprire, sul grande schermo, questo lungometraggio considerato il primo in assoluto realizzato nell’Africa subsahariana.

«A dire il vero nessuno aveva preso posizione e noi stessi avevamo procrastinato. Se in Francia l’uscita dei film asiatici funziona a pieno ritmo, per il cinema africano non è ancora così. riconosce Jean-Fabrice Janaudy, vicedirettore di Acacias, la società che lo distribuisce. Tuttavia è convinto di aver a che fare «un grande film troppo poco conosciuto, capace di interessare i neofiti, gli studenti delle scuole superiori e, più in generale, tutti coloro che in questo Paese hanno genitori o nonni di origine immigrata e che potrebbero essere stati colpiti da sentimenti simili a quelli dell’eroina». O Diouana (interpretata da Mbissine Thérèse Diop), una senegalese al servizio di una coppia francese che vive a Dakar, che lei chiama ” Signore “ et «Signora», e di cui veglia sui tre figli.

Il Nero di… ripercorre il suo viaggio, la sua assunzione, la sua gioia “trova lavoro con i bianchi”, il suo trasferimento ad Antibes. Segue lì la coppia e diventa tuttofare, fa il bucato, cucina e pulisce, consumandosi lentamente fino alla sua tragica fine. Nell’immagine, di fronte alla denigrazione che subisce, Diouana, trattata in alcune scene di “negra” chi capirebbe la lingua francese “istintivamente, come un animale”, mostra uno stanco distacco.

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Ma la voce fuori campo, come una voce interiore, suggerisce prima fastidio, poi disperazione. “Poiché i personaggi sono archetipici e il soggetto semplice, il film rimane universale e senza tempo, analisi Thierno Ibrahima Dia, redattore capo diAfriciné, media con sede a Dakar e dedicato ai cinema africani. L’opera non si limita a un’opposizione tra bianchi e neri, tra coloni e colonizzati, ma riflette sulla possibilità di dire “io”, di affermarsi come soggetto. »

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