“Il bacio di Giuda” dello scrittore Abdelhak Najib, pubblicato da Orion – Aujourd’hui le Maroc

“Il bacio di Giuda” dello scrittore Abdelhak Najib, pubblicato da Orion – Aujourd’hui le Maroc
“Il bacio di Giuda” dello scrittore Abdelhak Najib, pubblicato da Orion – Aujourd’hui le Maroc
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Questo è l’80° libro dello scrittore Abdelhak Najib. Una raccolta di racconti che trattano di amore, amicizia, speranza, illusioni umane, attraversamenti del deserto, vagabondaggi umani, tradimenti, questa brutta commedia chiamata esistenza. Un’opera tagliente e intransigente.


È un nuovo esercizio di stile quello che lo scrittore e giornalista Abdelhak Najib ci propone qui, in “Il bacio di Giuda”. Dopo il romanzo, dai successi imperdibili, come “I territori di Dio (5 edizioni), “La primavera delle foglie che cadono”, “La morte non è un sole nuovo”, “L’ultima guerra del milite ignoto” e il romanzo epico intitolato: “Il labirinto dell’arcangelo”, è il racconto che arriva a catturarci come un’epifania.

Ci troviamo qui di fronte a una serie di testi di una precisione chirurgica. Innanzitutto la parola, il verbo, la costruzione frastica, che va all’essenziale, che non cede in alcun modo a svolazzi. Il soggetto è portato da un linguaggio forte, incisivo, tagliente. Il tutto, sorretto da una poesia linguistica di cui l’autore ha il segreto e che ritroviamo in tutta la sua opera, dalla poesia al romanzo, passando per la filosofia di cui lo scrittore ci ha già regalato almeno trenta libri.

Le situazioni che trasportano tutte le storie di questa raccolta sono di una profonda umanità. Fedele a queste preoccupazioni di un pensatore molto vicino alle realtà e alle ramificazioni dell’anima umana, Abdelhak Najib scruta il non detto, con tale maestria, suggerendo, senza mai rivelare o cedere all’acquisito e al gratuito: “Niente è descritto così bene come ciò che è appena noto. Scopriamo solo ciò che non sappiamo”, ha scritto Paul Éluard. Ed è esattamente questo che tocchiamo quando leggiamo queste storie.

Ad esempio, quando leggiamo un racconto breve sulla relazione tra un uomo e una donna, ci troviamo di fronte a territori sconosciuti. Niente di ciò che si può leggere di solito, in una narrazione romantica. Qui, ciò che abita lo scrittore sono le cose che rimangono in sospeso, i silenzi pieni di significato, le aspettative abortite, gli schizzi che rimangono sparsi sul quadrante dei giorni, le emozioni silenziose e i sentimenti complessi di cui possiamo solo intravedere le fallibili apparenze. L’amore, questo sentimento strano e fugace, non viene mai consegnato in un blocco o come ci si potrebbe aspettare.
L’amore porta in sé i semi che possono mascherarlo, renderlo impossibile o addirittura finirlo. E tutto è detto suggerendo, alludendo, per evitare l’illusione di parole che a volte dicono il contrario di ciò che dovrebbero farci vedere. È la stessa forza quando leggiamo un racconto breve sull’amicizia. L’autore non giudica né decide mai.

Il punto è altrove. Ci fa scivolare negli interstizi delle complessità delle geografie umane, con le loro creste e le loro profonde fenditure. Ed è lì, in fondo all’abisso, che dobbiamo forse cercare questo raggio di luce che può far vivere una vera amicizia tra due esseri umani. Per illustrare il mio punto riguardo al linguaggio che trasporta tutti questi testi in questa raccolta, mi viene in mente questa frase di Henri Bergson: “L’arte dello scrittore consiste soprattutto nel farci dimenticare che usa parole”. Ed è esattamente questa sensazione che ci prende dalla prima all’ultima parola. È come se l’autore usasse altre parole, che ci sono certamente familiari, ma che non hanno la stessa portata.

Di questo si parla in un racconto di forza implacabile che parla di quest’uomo, che ha attraversato il mondo in cerca di se stesso. Viaggia da un paese all’altro, si perde qui pensando che un giorno potrebbe ritrovarsi lì, incontra volti, cerca il seno negli occhi degli altri, vaga nell’immensità delle città, in mezzo al loro rumore di rottami arrugginiti, e finisce per rendersi conto che l’esistenza è un pellegrinaggio, dove chi cammina deve spellarsi, pelle per pelle, fino a diventare leggero. Alcuni ci riescono, altri non lo sapranno mai, come il titolo di un’altra opera di Abdelhak Najib, che porta il titolo molto rivelatore di “Molti sono chiamati, pochi sono eletti”.

E qui, ancora una volta, ciò che ci colpisce è la forza della frase nella sua abbagliante semplicità. Abdelhak Najib scrive nel modo più semplice possibile, senza mai forzare le linee, né esagerare il punto, e tanto meno voler essere stiloso: “Qui come altrove, lo so, la bellezza è il più delle volte solo semplicità”, come diceva quel caro Guillaume Apollinaire. Insisto su questa semplicità, perché può sembrare che si possa riprodurre questo stesso schema di scrittura. Solo che non è possibile.

La frase qui porta con sé il suo significato e le sue cose non dette. Ed è questo il suo grande potere. Come sappiamo, spesso l’occhio vede solo ciò che il cervello è preparato a comprendere, ecco perché questa scrittura va contro l’aspettato e il prevedibile. Sconvolge. Sferra colpi. Mette in discussione le nostre certezze. In altre parole, quando chiudiamo questo volume di raccolta con un titolo molto simbolico, ci rendiamo conto che solo chi rischia forse di andare troppo lontano saprà fin dove è possibile arrivare.

Il bacio di Giuda, Abdelhak Najib. Editions Orion. 260 pagine. Disponibile in libreria.

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