“Sono ancora un contadino” e “Parlo di ciò che mi dà fastidio”

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Non avrei mai dovuto fare carriera come narratore dialettale. Io sono il bastardo di queste due cose: narratore E parlante dialettale. » Se non fosse diventato un narratore, Yannick Jaulin non avrebbe potuto sfruttare così bene il suo senso della formula che permea i suoi spettacoli da oltre trent’anni. Con un sorriso agile, un occhio che si contrae quando guarda il suo interlocutore, i capelli risolutamente spettinati e intrattabile quanto lui, a 65 anni vive una seconda carriera da uomo libero. Nel 2020 ha chiesto di non essere più autorizzato dalle autorità di controllo del settore culturale: “Sto riconquistando la libertà e lì… sto parlando di ciò che mi dà fastidio. » Libero dalla pressione di dover creare uno spettacolo ogni due anni, trova una nuova urgenza, quella di difendere nuovamente ciò con cui per lui tutto è iniziato: la sua lingua madre.

Il Poitou-Saintongeais non è la lingua più coronata di miti eroici e spesso adulterati. È una lingua contadina

“Chi ha raccolto le nostre storie? »

Perché nel quadro degli scontri delle lingue regionali che soffrono, il Poitou-Saintongeais non è la lingua più coronata di miti eroici e spesso adulterati. È un linguaggio da contadini come lui, originario di Aubigny in Vandea: “Ero un piccolo contadino abbandonato a se stesso. Ero il più grande di cinque figli e giocavo con la paglia e mi raccontavo cose incredibili. » Avrebbe potuto poi raccontare come, figlio di un cattolico di buon carattere, si ritrovò nell’associazione laica del suo villaggio: «Nel mio ambiente contadino avevamo molti valori ma pochi legami con l’arte, nessuna critica mente. Ero un disertore… mi ha dato molta libertà. » E lì incontrò un veterano della guerra d’Algeria che aveva raccolto le storie delle donne berbere: «Serveva come giustificazione per la colonizzazione. Ma chi aveva raccolto le nostre storie? » Lo farà nel Poitou e da lì parte tutto. Per questo “adolescente arrabbiato, un segaiolo…” è una rivelazione, un primo shock di libertà.


Yannick Jaulin: “Nel mio ambiente contadino avevamo molti valori ma pochi legami con l’arte, nessuno spirito critico. Ero un disertore… mi ha dato molta libertà. »

Yannick Jaulin

Va in Africa, contrabbanda automobili, attraversa gli Stati Uniti a piedi e fa l’autostop, prende roba e vende roba

Andò in Africa, trafficò in automobili, attraversò gli Stati Uniti a piedi e fece l’autostop, comprò e vendette cose e scrisse le sue prime canzoni in Parlanjhe, la sua lingua tanto quanto il francese. Inizierà da lì: rock rurale e dialettale. Con un posto di facilitatore nelle paludi del Poitevin. E “nel 1987 abbiamo venduto più dischi di Goldman in Vandea. » Il chouan ritrova il suo separatismo in tutta pace. E Jaulin arriva a Montreuil (Île-de-France…) con i suoi racconti a Saintongeais nel 1993: “Dato che venivo dal rock, non ero un narratore di biblioteca, ci sono andato con grande forza. C’era il passaparola, lo trovavano originale anche se non ci capivano niente. » A quel tempo, il “narratore” dava ancora un po’ di paglia e un vecchio borbottante, ma avrebbe contribuito a far sì che tutto ciò accadesse. “Mi chiameranno un narratore rock.” E il successo arriva.

Scene nazionali

Nel 2000 la svolta: viene approvato dal Ministero della Cultura. E comincia a fare spettacoli in tournée sui palcoscenici nazionali, alla Corte d’Onore di Avignone, con Wajdi Mouawad…: “Quando sei un narratore dialettale, vuoi entrare nelle istituzioni. Questo è l’apice del riconoscimento. Avevo soldi da spendere, dovevo fare spettacoli costosi. E comincio ad annoiarmi. » Allo stesso tempo, se è lui il tedoforo della rinascita del racconto, ci vorrà del tempo per accettare l’etichetta. E manterrà sempre una certa distanza, piuttosto involontaria, da un ambiente che, a poco a poco, ricomincia a svanire. Yannick Jaulin fa un’osservazione senza amarezza: “Ci sono attualmente quasi 1.000 narratori ma di loro si sente parlare meno. Ha aperto negli anni 80 e poi… ha chiuso. I nuovi narratori hanno paura di affrontare le mitologie. »

Per vent’anni l’ex cantastorie dialettale si è costruito l’immagine di monumento nazionale. Conserva lo spirito rimbalzante dei suoi testi, il virtuosismo vorticoso delle sue parole, ma avvolge il tutto in allestimenti e scenografie troppo imponenti per la leggerezza del suo modo di raccontare. È il riconoscimento del racconto e, allo stesso tempo, l’allontanamento da esso. Vent’anni dopo, alla normale età pensionabile, sbatté la porta all’ambiente culturale ufficiale ed espresse rabbia repressa: “Lì ho incontrato delle persone pretenziose…! »


In contrappunto, ora afferma la sua eredità contadina, a Pougne-Hérisson, che da trent’anni ha stabilito come centro del mondo, con un festival emblematico di una “megalomania derisoria”, La Flemme olymplouc.

Yannick Jaulin

“Coltivo parole”

Per fare da contrappunto, egli afferma ora la sua eredità contadina, a Pougne-Hérisson, che ha stabilito da trent’anni come il centro del mondo, con un festival emblematico di una “megalomania derisoria” e, incidentalmente, di una cultura vivente in un ambiente rurale, quest’estate illumina La Flemme olymplouc. E dal 5 al 24 luglio, da Saint-Jean-de-Monts (85) a Mornac-sur-Seudre (17), da ovest a est e ritorno, si arma del suo trattore più bello per una tournée della sua rock band . Ma soprattutto parlare di questo patrimonio immateriale, di questo modo di stare al mondo che è la lingua del proprio Paese. Riscopre questa lotta che quasi sa essere andata perduta, quella di preservare le parole e le tradizioni che lo hanno infuso fin dall’infanzia. L’urgenza c’è e lui la incarna parlando di “queste lingue che crescono per dare agli umani che le abitano i mezzi per proteggersi. Perdendo la tua lingua, perdi la connessione con la terra. »E lo distruggiamo.

Riscopre questa lotta che quasi sa essere andata perduta, quella di preservare le parole e le tradizioni che lo hanno infuso fin dall’infanzia.

Si circonda di etnolinguisti e geografi, come Noè che cerca di preservare questa terra dal diluvio liberale che la sta spazzando via: “Sono ancora un contadino, coltivo parole. » Senza cedere alle cappelle regionaliste di cui denuncia tanto il dogmatismo quanto il centralismo, per le quali tutto ciò che è rurale è redneck. Per lui non si tratta di unificare le varianti microregionali: “L’unica vera lingua è quella che parlo. » E proverà a restituire memoria a tradizioni che stanno scomparendo: «Convocheremo le persone per parlarne. I borghesi sanno trasmettere. I contadini e gli operai non lo fanno. Non mi è stato trasmesso alcun valore del terreno tranne la proprietà. » L’adolescente è maturato. La sua rabbia è rimasta. La cosa principale è la sicurezza.

Dal 4 al 24 luglio, il tour di Yannick Jaulin attraverserà quattro dipartimenti: Vendée, Deux-Sèvres, Vienne, Charente-Maritime. www.yannickjaulin.com/LatournéeMondialeLocale

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