Fotografa, artista visiva, Valérie Belin è stata eletta nel 2024 all'Accademia di Belle Arti. Formatasi prima alle Belle Arti di Versailles, poi alla Scuola Nazionale d'Arte di Bourges, influenzata dall'arte minimalista americana e dal barocco italiano, la fotografa visiva ha presentato la sua prima mostra nel 1994: la sua famosa serie Cristallooggetti di cristallo, in bianco e nero, inquadrati molto ravvicinati, dove tutto diventa luce. Da allora, ha continuato a sviluppare un'arte in cui gli esseri e gli oggetti sono come esemplari al centro dell'immagine, dove l'incredibile bellezza si confronta con il freddo e il vuoto, dove le identità sono offuscate secondo gli stereotipi. Una fotografia che dà allo spettatore una sensazione di stranezza che rimane con lui per molto tempo….
Valérie Belin è accolta quest'anno al festival Paris Photo, come parte del corso Foto di Elle X Parigi per la mostra di nuove foto inedite.
Una bellezza molto strana
Con 30 anni di carriera e 45 serie fotografiche esposte in tutto il mondo, Valérie Belin si è innegabilmente affermata come uno dei riferimenti della fotografia contemporanea. Quando approfondiamo il suo lavoro, appare un disturbo. È un disturbo dell'identità, un disturbo dell'immagine o un disturbo della realtà? Difficile esserne sicuri. Dietro questo disordine però si nasconde sempre una strana bellezza. “Il mio lavoro è esagerare ciò che accade alla superficie delle cose. E a volte lo spiega parlando delle sue serie Manichini (2003)è avvicinandosi molto da vicino che ci rendiamo conto che tutto è falso. Ciò che volevo mostrare è la menzogna della bellezza. C’è una forma di autoalienazione in tutte le rappresentazioni di donne e uomini che ho fatto fino ad oggi.“
E fotografando la bellezza, Valérie Belin se ne forma la propria idea: “la bellezza è anche pericolo, incarnazione di una forma di stereotipo. Penso che tutti abbiamo bisogno di modelli per formarci, tuttavia l'eccesso di modelli trasforma la nostra identità in qualcosa di distruttivo. Oggi il diktat delle immagini potrebbe essere anche una definizione di bellezza”.
La figura umana come tela bianca
Con l'arrivo della tecnologia digitale, il lavoro del fotografo visivo si è evoluto. Dalle macchine da presa a pellicola è passata ai ritratti digitali con colori e sovrapposizioni di immagini e forme. Tuttavia, la figura umana abita ancora un’intera sezione della sua ultima serie: “Oggi lavoro con modelle di agenzia che utilizzo come tele bianche su cui creo un personaggio da zero. Questa creazione di personaggi è un po’ ciò che definisce il mio lavoro attuale. Potremmo quasi parlare di collage. C'è un gioco di appropriazione molto forte che mi permette di continuare a evocare quell'alienazione su cui stavo già lavorando nel film. Ma non faccio ritratti dell'anima, piuttosto quelli della psiche in guerra delle donne di oggi. I miei soggetti continuano ad emergere dal magma della quotidianità.“
La fotografia è un'arte dell'occhio
Per Valérie Belin la fotografia è soprattutto uno sguardo. Ma per lei quello dello spettatore conta almeno quanto quello dell’artista: “Quando creo una fotografia, una serie, immagini, si tratta di cercare di provocare un'esperienza che è quella di riportarci a noi stessi, di spingere gli spettatori a sognare. Lo dico nel senso che le mie fotografie cercano di metterci di fronte a uno specchio che ci guarda, in cui vediamo noi stessi, che in definitiva ci costringe a guardarci. E la bellezza è proprio questa porta dello sguardo che ci spinge ad andare altrove, in tutti gli strati dell'opera. Un’opera d’arte per me è anche questo, qualcosa che resiste all’interpretazione completa, sempre con un po’ di mistero e sogno”.
Per venire a trovarci Foto di Parigisi incontrano al Grand Palais di Parigi dal 7 al 10 novembre 2024.
Clip audio
- Archivio di Roland Barthes in Interviste a Roland BarthesFrancia Cultura, 23/02/1977
- Archivio di George Didi Huberman in Le vie della filosofia il 26/06/2018
- Canzone: Taxi Girls – Manichino tratto dall'album Alla ricerca del ragazzo (2010)