Danièle Thompson racconta il suo incontro con Tom Wesselmann, nel cuore di una mostra della Fondazione Louis Vuitton

Danièle Thompson racconta il suo incontro con Tom Wesselmann, nel cuore di una mostra della Fondazione Louis Vuitton
Danièle Thompson racconta il suo incontro con Tom Wesselmann, nel cuore di una mostra della Fondazione Louis Vuitton
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Un tuffo nella pop art. Così si svolge questa mostra che celebra il decimo anniversario della Fondazione Louis Vuitton, tornando alle radici del movimento, con i suoi precursori dadaisti, ed esplorandone le ramificazioni contemporanee. Fulcro di questa messa alta popista, Tom Wesselmann (1931-2004), il cui lavoro innovativo, giubilante e diabolicamente sexy si svolge in maestosità, in dialogo con Marcel Duchamp, Meret Oppenheim, Jeff Koons, Sylvie Fleury…

L’occasione per riscoprire questo prodotto puro della cultura americana e grande estimatore di Matisse, i suoi primi collage, realizzati con frammenti di pubblicità rubate nella metropolitana, e le opere che seguirono, quadri XXL a volte oscillanti tra pittura e scultura. A cominciare dalle sue potentissime nature morte in cui appaiono oggetti 3D, e dal suo “Great American Nude” iniziato all’alba degli anni ’60, che segnerà la sua reputazione. Nudi languidi semplificati all’estremo e con presunto erotismo, come un’eco della rivoluzione sessuale in atto.

Una serie leggendaria, come la sua “Smoker”, primi piani su bocche e mani, sigarette sulle dita e unghie rosso carminio, per la quale la regista e sceneggiatrice Danièle Thompson è stata modella. Per noi, ricorda.

LEI. – Hai posato più volte per Tom Wesselmann, come lo hai conosciuto?

Daniele Thompson. Erano gli anni ’60. Ero andata a vivere a New York per un po’ con il mio primo marito. Nel nostro palazzo viveva una grande mecenate della pop art, Ethel Scull, grazie alla quale ho scoperto questo movimento. Ricordo ancora le opere nel suo appartamento, i portasapone Brillo di Warhol, una scultura di Chamberlain… È stato senza dubbio grazie a lei se mi sono ritrovato alla Sidney Janis Gallery per un’inaugurazione di Tom Wesselmann. Quella sera chiesi all’artista – che non conoscevo – se facesse ritratti e lui mi rispose “perché no?” », poi volle sapere se avrei posato nuda. Non avevo inibizioni e ho sempre amato i pittori, quindi ho detto di sì, in modo molto naturale.

“Penso che fosse affascinato perché ero francese, e lui era un puro prodotto americano”

ELLE. – Come si è svolta una sessione?

DT Eravamo lontani dal pittore e dal suo cavalletto! Ero seduto su un tavolo e lui mi camminava intorno, disegnando schizzi, catturando diverse prospettive, frammenti del mio corpo, la mia testa da dietro… Era incredibilmente concentrato. Sono sempre stato affascinato dagli atelier degli artisti, che conoscevo perché mia nonna mi portava, da bambino, da Georges Braque, Marie Laurencin, Raoul Dufy… Dopo la mia prima sessione di posa, mi chiese di mandargli una lettera con diversi schizzi, chiedendomi di scegliere quello che sarebbe diventato il mio ritratto. Poi mi ha richiamato per chiedermi di tornare e posare per lui. Penso che ne fosse affascinato perché ero francese, e lui era un puro prodotto dell’America, totalmente ancorato alla sua cultura.

ELLE. – In seguito hai fatto da modella per la famosa serie “Smoker”…

DT Avevo delle belle mani con lunghe unghie rosse – una tradizione nella mia famiglia – e questo lo ha ispirato! È così che mi ha suggerito di tornare al workshop per una sessione di posa con uno dei suoi amici fotografi. Al telefono, ha detto: “Non dimenticare di farti le unghie!” » Dato che non fumavo, la seduta è stata piuttosto dolorosa… Per ringraziarmi mi ha regalato alcune fotografie e una piccola versione ad acquerello di un “Fumatore”. Bellissimo !

LEI. – Avete instaurato una lunga amicizia, cosa ti ha toccato di lui?

DT- Era un personaggio molto accattivante e vero, in fuga dalla mondanità. L’opposto della Warhol Factory. Tutto ciò che contava per lui era il lavoro e la famiglia, i suoi tre figli e sua moglie, che era il modello della sua vita. Ci siamo scritti fino alla sua morte, e ho trovato diverse lettere, tra cui una in cui mi racconta che ha iniziato a scrivere canzoni country, un’altra in cui mi spiega che è andato in campagna contro uno dei cacciatori di streghe dell’era McCarthy , ed un’altra dove mi racconta della sua ansia per l’aereo quando deve venire a Parigi, valutando la barca e chiedendomi consigli, chiedendomi anche se l’acqua a Parigi era potabile! Da parte sua, seguiva i miei film. Ho aperto una porta verso un universo così lontano da lui, e viceversa.

“Pop Forever, Tom Wesselmann &…”, fino al 24 febbraio 2025, Fondation Louis Vuitton, Parigi 16e. fondationlouisvuitton.fr

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