Negli ultimi mesi le difficoltà finanziarie dei produttori di apparecchiature automobilistiche si sono purtroppo concretizzate in numerose dichiarazioni di fallimento e fallimenti. Tra loro, All’inizio di ottobre abbiamo appreso che il colosso svedese delle batterie elettriche Northvolt aveva dichiarato fallimento la sua filiale responsabile dello sviluppo della sua gigantesca fabbrica a Skelleftea, in Svezia. E poco più di un mese dopo aver annunciato diverse migliaia di tagli di posti di lavoro. Va detto che la BMW ha annullato lo scorso giugno un grosso contratto relativo a celle di batterie del valore di 2 miliardi di euro. E, purtroppo, al di sopra di quella che rappresentava una delle speranze più importanti in un mercato delle batterie per veicoli elettrici in gran parte dominato dalla Cina, il cielo diventa ogni giorno più scuro.
Prima un amministratore delegato che si dimette…
Così, questo giovedì 21 novembre, lo svedese si è sottoposto al regime americano di protezione contro i fallimenti, il famoso “Capitolo 11”, mentre il debito della società è spaventoso: 5,84 miliardi di dollari, l’equivalente di circa 5,58 miliardi di euro. Entrando in amministrazione controllata, l’azienda conserva la speranza di rialzare la testa e magari di poter ricevere nuovi finanziamenti. Ma se la società ha chiarito subito che non si tratta di una “procedura fallimentare”, bensì di una “riorganizzazione”, tutto sembra andare di male in peggio. Con, il giorno dopo questa procedura, il 22 novembre l’amministratore delegato Peter Carlsson si è dimesso. Se il cofondatore della Northvolt resta membro del consiglio di amministrazione, ha spiegato qualche giorno fa ai giornalisti che, per rilanciare l’attività, la Northvolt dovrà ora raccogliere tra 1 e 1,2 miliardi di dollari. Buona fortuna al successore: il CFO Pia Aaltonen-Forsell.
…e ora il/i maggiore/i azionista/i
E non abbiamo dovuto aspettare molto per vedere che il castello di carte di Northvolt crollava ulteriormente. Abbiamo infatti appreso che il principale azionista della start-up scandinava, che altri non è che Volkswagen, con una quota pari al 21%, ha ridotto drasticamente la propria partecipazione. Il che non ha nulla a che vedere con i recenti problemi del colosso automobilistico, poiché questi sono avvenuti gradualmente negli ultimi due anni. Da 1,4 miliardi di euro nel 2022 si scenderebbe a 693 milioni nel 2023. Un valore sceso nel 2024, secondo fonti vicine alla vicenda citate da Reuters. E gli altri investitori si ritirano uno dopo l’altro. Secondo il Financial Times, citando lettere inviate agli investitori, i fondi gestiti da Goldman Sachs, il secondo maggiore investitore di Northvolt (19,2%), ridurrebbero a zero la loro partecipazione di 900 milioni di dollari alla fine dell’anno. Anche diversi fondi di investimento (lo svedese AMF e lo scozzese Billie Gifford) avevano ridotto la loro partecipazione.
Segnale difettoso per l’elettricità
Se pensiamo che non molto tempo fa era stata presa in considerazione una IPO di Northvolt, e quelloera prevista una valutazione di circa 20 miliardi di dollari, è meglio rendersi conto del tracollo della start-up. E soprattutto in che misura gli investitori potrebbero essere sempre più cauti nel finanziare progetti legati alla transizione energetica. Abbastanza per dare un po’ più di vantaggio al settore dell’elettrico, le cui vendite faticano ancora a decollare.