più Europa, decarbonizzazione e debito

più Europa, decarbonizzazione e debito
più Europa, decarbonizzazione e debito
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Remy Prud’homme

Mario Draghi è, giustamente, uno degli uomini più rispettati in Europa, e in effetti nel mondo. È professore di economia (dottore del MIT), diventato banchiere (governatore della Banca d’Italia, direttore della Goldman Sachs, governatore della Banca Centrale Europea) e politico (primo ministro italiano). È in parte grazie a lui se negli ultimi anni (2018-23), l’economia italiana ha fatto meglio di quella francese per quanto riguarda: crescita del PIL pro capite, riduzione della disoccupazione e controllo del debito pubblico. L’Unione Europea ha chiesto a Draghi di riflettere su “Il futuro della competitività europea”. Ha appena presentato la sua relazione, che ovviamente merita tutta la nostra attenzione. Lì troviamo un’analisi brillante, seguita da raccomandazioni paradossali.

Non possiamo che applaudire l’analisi. Tre punti originali devono essere sottolineati. La prima è che l’Europa è in ritardo non solo rispetto agli Stati Uniti (cosa ormai abbastanza nota), ma anche rispetto alla Cina (che lo è meno); In termini di sofisticazione tecnologica, la Cina, che solo vent’anni fa era molto indietro rispetto all’Europa, ora è avanti a noi in molti settori industriali.

Il secondo punto è che questo abbandono deriva principalmente da un “deficit di innovazione”, che Draghi attribuisce principalmente a due cause: la “regolamentazione incoerente e malthusiana” che è diffusa nei nostri paesi; e i prezzi dell’energia, che sono infatti due o tre volte più alti in Europa che negli Stati Uniti.

Il terzo, spesso dimenticato, è che l’Europa è molto più dipendente degli Stati Uniti o della Cina dalle importazioni critiche, in termini di energia, metalli rari, prodotti farmaceutici e componenti vari. L’Europa ha giocato la carta del commercio internazionale apriredove tutto ciò che viene prodotto nel mondo poteva essere facilmente acquistato; ma ora ci troviamo di fronte al commercio internazionale politicizzato, dove alcuni flussi di beni e servizi essenziali per le nostre economie possono essere rallentati o addirittura fermati da un giorno all’altro. Naturalmente la preoccupazione per la sicurezza e l’autonomia non è mai stata del tutto ignorata, ma oggi assume un’importanza sempre maggiore.

Il rapporto Draghi non è solo analitico. È anche e soprattutto prescrittivo. I suoi consigli sono numerosi. Ne citeremo tre tra i più importanti: più Europa, più decarbonizzazione e più debito. Riflettono il pensiero dominante delle élite europee, ma appaiono paradossali e difficili da convincere.

Più Europa – Rafforzare i poteri dell’Unione è uno dei leitmotiv del rapporto. Draghi chiede un’unione dei mercati dei capitali, un ampliamento della portata delle decisioni prese a maggioranza qualificata (una diminuzione dell’unanimità), la delega di compiti aggiuntivi a livello europeo, un aumento del bilancio dell’Unione, la moltiplicazione delle “ piani”, un quadro europeo per il coordinamento della competitività, il rafforzamento della task force per l’attuazione del mercato unico, la creazione di fondi pensione europei, ecc. L’Unione impiega 60.000 dipendenti pubblici; l’attuazione delle raccomandazioni del dottor Draghi aumenterebbe senza dubbio questo numero a 80.000.

Ci sono indubbiamente buone ragioni per ritenere che questa supercentralizzazione sarebbe auspicabile. A patto che il supercentro, Bruxelles, sia efficiente. L’esperienza suggerisce che questa condizione non è sempre soddisfatta. Draghi è il primo a sottolineare che la proliferazione delle normative in Europa è la causa del deficit di innovazione che lui denuncia; e sa bene che Bruxelles ha la sua parte in questa proliferazione. Cosa propone? la creazione in Commissione di una nuova vicepresidenza, dedicata alla Semplificazione. Il lettore fa fatica a reprimere un sorriso di dubbio di fronte a questo primo paradosso.

Più decarbonizzazione – Uno dei sei capitoli del rapporto Draghi si intitola: “Un piano per la decarbonizzazione e la competitività”, e dimostra l’importanza attribuita a questo tema. Il capitolo esalta “i benefici della decarbonizzazione” e ribadisce che le turbine eoliche, gli elettrolizzatori, l’idrogeno, i veicoli elettrici, i carburanti a basse emissioni di carbonio, ecc. sono un’opportunità per l’industria e la competitività europea. Niente è meno certo. Tra i paesi europei, osserviamo che il progresso della produttività è inversamente proporzionale ai tassi di decarbonizzazione: grande nei paesi che decarbonizzano poco, piccolo (o negativo) in quelli che decarbonizzano molto. Lo stesso vale tra i tre principali blocchi: l’Europa, che sta facendo più di Stati Uniti e Cina in termini di decarbonizzazione, è il blocco in cui il progresso della produttività è più mediocre. Per quanto riguarda l’elettricità (di cui la relazione sottolinea giustamente il ruolo essenziale), l’Unione europea ha avuto un’influenza dannosa, soprattutto per la Francia. In nome della decarbonizzazione, l’UE condanna da tempo l’energia nucleare, favorisce la dipendenza dal gas importato, promuove le fonti rinnovabili intermittenti sovvenzionate e aumenta drasticamente il livello e le fluttuazioni dei prezzi. Qui abbiamo un secondo paradosso: mentre i risultati dell’intervento europeo in campo energetico appaiono poco convincenti, il rapporto Draghi raccomanda un forte incremento di tale intervento. Errare è umano perseverare diabolicamente.

Più debito – La maggior parte delle raccomandazioni del rapporto, in particolare le due precedenti, riguardano spese aggiuntive, in particolare spese per investimenti. Questa preferenza quasi esclusiva per gli investimenti, e per gli investimenti nell’alta tecnologia, è un po’ restrittiva. Ci sono anche innovazioni a bassa tecnologia che producono utilità e reddito, come dimostra il successo di aziende (americane) come Amazon o Airbnb, nei settori tradizionali (vendite per corrispondenza, alloggi), con tecnologie neoclassiche (internet), e senza denaro pubblico.

Torniamo agli investimenti consigliati. Draghi, riprendendo uno studio della Commissione, li stima a 800 miliardi di euro (senza specificare in quale arco di tempo). Questo dato, che riguarda l’intera Europa, è quasi certamente sottostimato. Per Draghi, l’ancora di salvezza dell’Europa è un massiccio piano di investimenti nella decarbonizzazione, coordinato a livello europeo. Si rende conto che questi investimenti non saranno redditizi e, come scrive, che “il settore privato avrà bisogno del settore pubblico per finanziare questo piano”.

Questo piano implica quindi un aumento considerevole della spesa di bilancio dell’Unione europea. Finanziato non da un aumento delle tasse, ma dai prestiti europei. Lui le giustifica: queste spese aumenteranno la produttività, che aumenterà la base imponibile (usa la bella e inedita espressione di “spazio fiscale”), quindi le entrate fiscali, che potranno così ripagare i prestiti. Questo è puro Keynes. Ma ciò che aveva senso nell’Inghilterra degli anni ’30, caratterizzata dalla sottoutilizzazione del capitale e del lavoro, ha molto meno significato nell’Europa di oggi. Il difetto del ragionamento sta nel fatto che “queste spese aumenteranno la produttività”. Non è vero che tutti gli investimenti aumentano la produttività. Nel cimitero delle innovazioni fallite ci sono molte tombe. Gli investimenti nell’aereo Concorde non sono affatto aumentati, a differenza degli investimenti nel telefono. Dobbiamo temere che la maggior parte degli investimenti per la decarbonizzazione assomiglieranno più al Concorde che al telefono. Il veicolo elettrico, l’aereo elettrico, l’uso dell’idrogeno per lo stoccaggio dell’elettricità, sono scommesse, e scommesse rischiose. Giustificano la ricerca, i test, i prototipi, piuttosto che le inondazioni di denaro pubblico europeo finanziate dal debito. Qui abbiamo un terzo paradosso: mentre molti paesi europei, compreso il nostro, sono minacciati da un debito eccessivo, il rapporto Draghi raccomanda un aumento del debito.

I pochi tratti salienti sopra evidenziati ovviamente non riflettono tutta la ricchezza delle analisi e delle raccomandazioni del rapporto Draghi. Troveremo, ad esempio, bellissime pagine sulle cause dell’aumento delle disuguaglianze o sul difficile ma necessario allineamento delle politiche commerciali con le strategie industriali. I pochi punti deboli qui presentati sotto il nome di paradossi non devono scoraggiare il lettore dal godere di questo bellissimo testo. È cento cubiti al di sopra dei discorsi vuoti e dei programmi fasulli che i nostri politici ci lanciano su questi stessi temi.

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