Con Speranza (Albin Michel), Papa Francesco firma la sua seconda autobiografia in meno di un anno. Nel marzo del 2024, infatti, aveva pubblicato Vivere. La mia storia attraverso la grande storia (Harper e Collins). Per non parlare dei libri di interviste, delle numerose prefazioni e delle innumerevoli interviste rilasciate in quasi 12 anni. Se aggiungiamo a questo, piacciono le biografie dei giornalisti più vicini
Francesco riformatore (Emmanuel, 2017) del britannico Austen Ivereigh, considerata l’opera di riferimento, chiunque venga qui in cerca di nuove informazioni dovrà quindi voltare pagina.
L’obiettivo è diverso. Speranza è pubblicato in occasione del Giubileo della Speranza, apertosi il 24 dicembre 2024, e ha l’ambizione di lanciare un messaggio ai cattolici e al mondo, in particolare ai giovani, sulla scia della Non aver paura! di Giovanni Paolo II. Ma di per sé la natura di questa nuova opera ci spinge a chiederci: come possiamo interpretare questa esigenza di dire qualcosa, di raccontarsi da parte di un pontefice che insiste così tanto anche sull’umiltà?
Francesco non è il primo papa a voler dare testimonianza ai posteri. Lo stesso Benedetto XVI ha giocato al gioco del libro di interviste con il giornalista Peter Seewald. Ma nel caso di Francesco la questione è tanto più scottante in quanto la produzione è più abbondante e un buon numero di critici del pontificato lo accusano di una certa propensione all’“autoreferenzialità”. Agire come “Franco
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