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Recensione del film: Cellar Door (2024, diretto a SVOD)

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Porta della cantina // De Vaughn Stein. Con Jordana Brewster, Scott Speedman e Laurence Fishburne.

Mi piacciono i film che si prendono il tempo per costruire un'atmosfera, quelli che preferiscono un aumento graduale della tensione per portare a un epilogo avvincente. Purtroppo, Porta della cantina incarna l'epitome di ciò che accade quando un film opta per uno sviluppo lento senza offrire alcuna reale ricompensa alla fine del viaggio. Questo thriller, che sembrava promettere un'atmosfera misteriosa e angosciante, finisce per sprofondare in un'inerzia deludente, senza fornire la minima rivelazione o sorpresa significativa. Fin dai primi minuti, Porta della cantina cattura l'attenzione con un concetto intrigante e un contesto che fa sperare in una crescente suspense. Il film si basa su un principio semplice: non aprire la porta della cantina.

Una coppia cerca un nuovo inizio lontano dalla città. Ricevono un'offerta che non possono rifiutare: la casa dei loro sogni. Esiste però una condizione misteriosa e irremovibile: non devono mai aprire la porta della cantina!

Questo principio, ripetitivo e onnipresente nella trama, potrebbe essere stato il filo conduttore di una tensione nervosa e accattivante, spingendo gli spettatori a chiedersi cosa si nasconde dietro questa misteriosa porta. Tuttavia, invece di fungere da catalizzatore per una suspense mozzafiato, questo divieto non diventa mai una vera minaccia, e perde gradualmente il suo impatto, lasciando gli spettatori perplessi di fronte a uno scenario senza primavera drammatica. Uno dei maggiori punti deboli di Porta della cantina si trova in una trama priva di profondità e creatività. Il film fatica a esplorare nuovi temi o elementi e si accontenta di svolgere dialoghi esplicativi, che sminuiscono l'accumulo di tensione. Lo spettatore è sommerso in scambi banali e ripetitivi, che non contribuiscono né a rafforzare il mistero né a far avanzare la storia.

È raro che un film di questo genere faccia così tanto affidamento sull'esposizione a scapito dell'azione e dell'angoscia, rendendo il ritmo lento e poco emozionante. La mancanza di ambizione della sceneggiatura si traduce anche in interpretazioni poco brillanti da parte degli attori principali, incapaci di trascendere il testo per dare vita a personaggi accattivanti o memorabili. Nonostante questa inerzia generalizzata, un’eccezione merita di essere sottolineata: Laurence Fishburne. La sua interpretazione apporta un tocco di energia e carisma a un film che manca gravemente. Fishburne riesce ad attirare l'attenzione durante ciascuna delle sue apparizioni sullo schermo, infondendo un po' di sollievo in un universo narrativo che ne è in gran parte privo. Eppure, nonostante la sua presenza, l'attore da solo non riesce a compensare le carenze strutturali ed emotive del film. La sua prestazione è come una scheggia nell'oscurità, effimera e purtroppo insufficiente a cambiare la situazione.

Porta della cantina sembra voler invitare gli spettatori a trarre le proprie conclusioni, per colmare le lacune lasciate da una trama avara di risposte. È probabile che il regista abbia voluto affidarsi all'ambiguità per scatenare la discussione, permettendo a tutti di immaginare cosa nasconde realmente questa famosa porta. Tuttavia, la mancanza di coinvolgimento narrativo rende l’esperienza meno intrigante di quanto avrebbe potuto essere. Perché un film lasci spazio all'interpretazione, deve prima affascinare il suo pubblico, suscitare una curiosità che persiste anche dopo i titoli di coda. Qui, in mancanza di un'immersione sufficientemente coinvolgente, questa apertura interpretativa si trasforma in una semplice sensazione di lavoro incompiuto, come se il film avesse mancato di rispetto per lo spettatore lasciandolo più con domande che con piacere.

Alla fine della giornata, Porta della cantina delude per la sua mancanza di profondità e l'incapacità di mantenere l'attenzione. Quello che avrebbe potuto essere un opprimente e misterioso thriller psicologico diventa una storia di cattivo gusto, che segue le regole del genere senza infondergli l'anima necessaria. L'idea iniziale, ricca di potenzialità, viene viziata da uno sviluppo monotono e prevedibile, che non riesce mai a creare vera tensione. Quella che dovrebbe essere un'esplorazione delle paure umane, un viaggio nel cuore dell'ignoto, si rivela una semplice passeggiata in un territorio familiare, senza pericoli né sorprese. Insomma, Porta della cantina aveva tutte le carte in mano per diventare un bel film nel registro dei thriller psicologici, ma insiste per restare in superficie. Gli appassionati di thriller originali e coinvolgenti rischiano di restare delusi da questa esperienza che promette molto senza mai mantenere le promesse. Se accettiamo la lentezza di un film, è nella speranza di lasciarci trasportare da un'intensità crescente o da un finale potente.

Nota: 3/10. Insomma, la lentezza porta solo a una forma di stanchezza, lasciando gli spettatori affamati e con l'impressione di aver assistito a un'occasione mancata.

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