La notizia cadde, brutalmente, come una campana che suona la fine di un’era: Jean-Marie Le Pen, il menhir bretone, non c’è più. È morto questo martedì 7 gennaio 2025 all’età di 96 anni. Con lui scompare una figura che anche i suoi peggiori avversari non potranno mai negare: quella di un tribuno eccezionale, di un inflessibile combattente politico e di un uomo la cui esistenza era una permanente sfida lanciata contro un sistema che lo avrà odiato tanto quanto lo avrà sfidato.
È stato insultato, calunniato, trascinato nel fango. Abbiamo cercato di zittirlo, di ridurlo al silenzio, di cancellarlo dalla Storia. Ma Le Pen, bretone dal carattere duro come l’acciaio, non si è mai arreso. Ha attraversato i decenni come una roccia contro la quale si infrangono le onde di un oceano in tempesta. E oggi, uscendo da questa vita, lascia dietro di sé una profezia compiuta: cquello che aveva denunciato negli anni ’70 e ’80, quello che con parole taglienti chiamò “il pericolo migratorio”, si sta ora svolgendo davanti ai nostri occhi. Le Pen aveva ragione. E la Storia gli dà ragione, ragione tardiva ma implacabile.
Un visionario, un profeta politico
Negli anni di cieca prosperità dei Trente Glorieuses, Jean-Marie Le Pen era già colui che vedeva oltre l’orizzonte immediato. Mentre la classe politica ha chiuso un occhio, denunciando, sola contro tutti, l’immigrazione massiccia come una minaccia alla civiltà. Ha osato parlare di un “ sostituzione della popolazione » in un tempo in cui queste parole erano considerate eretiche. Fu tra i primi a denunciare le rinunce delle élite, ad accusare i successivi governi di tradire la Francia lasciando la porta spalancata all’immigrazione che avrebbe sconvolto l’equilibrio del Paese.
Le sue parole, in quel momento, sembravano esagerate, scandalose, quasi caricaturali. Ma oggi risuonano con agghiacciante chiarezza. La violenza urbana, l’esplosione del comunitarismo, lo smembramento del tessuto nazionale: tutto questo lo aveva visto, lo aveva annunciato. E aveva osato dirlo, contro ogni previsione, tra fischi, insulti, processi e condanne. Questo coraggio di dire l’indicibile, anche quando la folla dei media si scatenava, rimane una delle più grandi eredità di Jean-Marie Le Pen.
Un uomo che ha rifiutato di scusarsi
Una delle caratteristiche più notevoli di Jean-Marie Le Pen è stato il suo assoluto rifiuto di chiedere scusa. In un mondo politico dove le smentite e le scuse pubbliche sono diventate all’ordine del giorno, dove gli uomini si tradiscono per una poltrona o un favore, Jean-Marie Le Pen è rimasto fedele alle sue convinzioni. Non ha mai cercato di sedurre, di addolcire il suo discorso per compiacere l’opinione pubblica manipolata dai media. Parlava in modo crudo, a volte aspro, spesso provocatorio. Ma ha detto la verità. Ed è questo che, nel profondo, gli è valso l’odio verso il sistema: si è rifiutato di rispettare le sue regole, ha rifiutato di piegarsi ai suoi diktat.
Questo rifiuto di inchinarsi, questa sfida permanente, lo hanno reso una figura speciale in un panorama politico ripulito. Le Pen incarnava una politica di uomini, una politica di grandezza e lealtà, lontana mille miglia dai calcoli meschini e dalle meschine manovre di tanti altri. Questa rettitudine, questo rifiuto di scendere a compromessi, era tanto il suo onore quanto la sua maledizione. Perché in questo paese dove il conformismo regna sovrano, un uomo che non si scusa mai è necessariamente un uomo da abbattere.
Un tribuno eccezionale, un uomo di parola
Jean-Marie Le Pen è stato anche, e forse soprattutto, un oratore eccezionale. I suoi discorsi, anche quelli degli esordi, erano caratterizzati da un’eloquenza rara, da un respiro epico, da una capacità di affascinare le folle. Sapeva giocare con le parole, con i silenzi, con l’emozione. Aveva questa capacità di far vibrare le corde più profonde dell’animo francese, di ricordare a tutti ciò che di nobile, grande e fiero c’è nella nostra Storia.
In un’epoca in cui il discorso politico è diventato insipido, formattato, calibrato per non dire nulla, Le Pen è rimasta un gigante. Brandiva l’ironia come una spada, la provocazione come uno scudo e la verità come un’arma definitiva. Parlava come non si parla più, con un respiro epico, quasi mistico. I suoi discorsi erano atti di fede, professioni di fede nei confronti di una Francia che amava con passione.
Un ultimo omaggio al guerriero
Con Jean-Marie Le Pen si spegne una fiamma, quella di un uomo che ha attraversato il XX secolo e parte del XXI rimanendo fedele a se stesso. Non si è mai arreso, non ha mai tradito le sue idee, non si è mai arreso. Ha condotto battaglie, a volte solitarie, a volte discutibili per il bretone che sono, spesso disperate, ma sempre sincere. Incarnava, per i suoi sostenitori come per i suoi avversari, una forza bruta, una tenacia incrollabile, simbolo di un’epoca in cui la politica aveva ancora un senso.
Oggi, mentre la Francia piange o esulta, a seconda degli schieramenti, resta una certezza: Jean-Marie Le Pen non era un uomo come gli altri. Era un combattente, un tribuno, un visionario. E se lascia questo mondo, la sua eredità rimane, come una luce tremolante ma ancora viva nella notte della nostra decadenza. Addio, signor Le Pen. Non ti sei mai inchinato. Non ti sei mai arreso. Possa il tuo esempio ispirare le generazioni a venire.
Julien Dir
Per non lasciarlo senza un pizzico di umorismo e insolenza, alcuni video cult. “ Ti farò scappare…”.
Illustrazione: Wikipedia (cc)
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