Nei suoi recenti incontri a Bruxelles con i leader europei e il segretario della NATO Mark Rutte, il presidente Voldymyr Zelensky ha reiterato l’urgenza degli aiuti occidentali per l’Ucraina, ossia le garanzie per il presente, e posto l’accento su vari elementi, tra cui la necessità di tenere unito il fronte antirusso tra Stati Uniti ed Unione europea anche dopo l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca. Nella prospettiva della risoluzione del conflitto ha sottolineato l’importanza delle garanzie per il futuro, ossia il prossimo modello di sicurezza che dovrà assicurare all’ex repubblica sovietica la pace duratura. Rispetto a un paio di mesi fa, quando tra settembre e ottobre, a Bruxelles, e prima ancora a Washington, Zelensky aveva presentato il cosiddetto piano della vittoria, qualcosa è cambiato, partendo proprio dalla narrazione.
Fatta eccezione per le note propagandistiche e le accuse a Vladimir Putin di essere un pazzo a cui piace uccidere, è evidente come l’approccio sia mutato: il piano della vittoria, già accolto freddamente da Joe Biden e Donald Trump e nelle cancellerie occidentali, è stato letteralmente derubricato e ora l’obbiettivo dichiarato di Kiev è quello non più di un successo militare, che preveda la riconquista dei territori occupati da Mosca a partire dal 2014, dalla Crimea al Donbass, ma la fine del conflitto secondo uno slogan ripetuto più volte anche negli scorsi mesi, quello della pace giusta. Anche per gli alleati europei, al di là delle dichiarazioni di rito sul sostegno all’Ucraina, l’attenzione sembra essere passata da quello che era l’obbiettivo comune, la sconfitta della Russia, alla ricerca di una “exit strategy” da coordinare con il nuovo presidente degli Stati Uniti.
Negli ultimi mesi la tattica comunicativa di Zelensky è stata altalenante, fatta di aperture e chiusure a seconda dell’andamento del conflitto, che però si è sviluppato in maniera negativa, sostanzialmente per due ragioni: da una parte l’insufficienza sistematica degli aiuti occidentali, sempre sotto le richieste di Kiev per raggiungere gli obbiettivi prefissati; dall’altra parte le scelte militari errate, come quella dell’incursione nel territorio russo di Kursk, che se all’inizio ha acceso le speranze, si è in seguito trasformata in un disastro per aver indebolito il fronte nel Donbass, dove le forze del Cremlino hanno preso rapidamente il sopravvento. La situazione attuale è per l’Ucraina difficilmente sostenibile ed è destinata a peggiorare senza ulteriore appoggio militare e senza una maggiore mobilitazione, con l’abbassamento alla coscrizione anche per i diciottenni.
Anche l’appoggio continuativo sulla linea tenuta fino ad ora e l’aumento delle forze sul campo difficilmente potrebbero dare però una svolta e ribaltare il quadro. La difesa sarebbe prolungata, ma il contrattacco probabilmente precluso. Verosimilmente quindi, alla luce della posizione di Trump, lo scenario più plausibile al momento è appunto quello che prevede l’inizio di un dialogo tra la Casa Bianca e il Cremlino per definire una quadro a grandi linee per un accordo sostenibile. Da questo punto di vista si spiega il cambio nell’approccio sostanziale di Kiev verso una possibile fine del conflitto, avvenuto dopo il tentativo di rilancio del piano della vittoria, affossato definitivamente dopo l’elezione di Trump a novembre. Resta in ogni caso da vedere quali saranno davvero le scelte del presidente degli USA, se vi sarà spazio per un’intesa, anche solo di massima che consenta inizialmente il cessate il fuoco, e quale sarà la linea del Cremlino: le condizioni poste da Putin sono note e gli spazi di contrattazione tutti da verificare.
Zelensky in sostanza non può fare nulla se non attendere i primi passi di Washigton e Mosca, a quali Kiev dovrà adattarsi. Lo stesso vale per l’UE, che in questi tre anni di guerra è andata al traino delle decisioni statunitensi: l’unità auspicata dal presidente ucraino si scontra con le diverse anime europee, tra quelle più bellicose e antirusse, dalla Gran Bretagna ai paesi baltici e alla Polonia, a chi invece favorisce la mediazione, la Germania in primis. A Berlino, ma anche a Parigi e altrove in Europa, la guerra in Ucraina ha portato difficoltà economiche e instabilità politica, creando scompensi che il prolungamento del conflitto non farà altro che accentuare. Il rischio per l’Ucraina, è quello di essere in qualche modo costretta a un compromesso al ribasso, nel caso si aprisse davvero una spiraglio per le trattative nel 2025.