Come il mandato d’arresto della CPI potrebbe ostacolare la vendita di armi a Israele

Pubblicato il 9 dicembre 2024 alle 18:45 / Modificato il 9 dicembre 2024 alle 19:41

5 minuti. lettura

Inchieste, ricorsi, dibattiti in parlamento, campagne politiche, manifestazioni. Dall’inizio dell’offensiva militare a Gaza, la pressione sui governi affinché smettano di autorizzare le esportazioni di armi, munizioni o componenti all’esercito israeliano ha continuato ad aumentare. E il mandato di arresto della Corte penale internazionale (CPI) pubblicato il 21 novembre contro Benyamin Netanyahu e il suo ex ministro della Difesa Yoav Gallant offre ora una nuova leva alla società civile o ai funzionari eletti che lottano per un embargo. Il mandato contro i due uomini afferma che c’è motivo di credere “che Israele abbia preso di mira i civili e abbia usato la fame come arma di guerra”. A più di un anno dall’inizio della guerra, i dubbi si stanno dissipando e gli Stati occidentali si trovano a dover fare i conti con i loro obblighi internazionali.

Nei Paesi Bassi, ad esempio, il divieto del governo di esportare parti di aerei da caccia F-35 in Israele dovrebbe essere mantenuto. L’avvocato generale della Corte Suprema olandese si è espresso venerdì 29 novembre a favore del mantenimento del divieto imposto allo Stato lo scorso febbraio, dopo che organizzazioni per i diritti umani hanno portato la questione in tribunale. Il suo parere, che si basa sulle norme internazionali ratificate dai Paesi Bassi, ritiene che l’esportazione dovrebbe essere vietata se esiste il rischio di violarle.

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