Henri Borlant è morto all’età di 97 anni. Sopravvissuto al campo di Auschwitz, era diventato una “figura della memoria della Shoah”. A 15 anni fu radunato con la sua famiglia a Saint-Lambert-du-Lattay nel Maine-et-Loire, dove trovarono rifugio.
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Per molto tempo Henri Borlant è rimasto in silenzio sull’orrore della Shoah. Prima di diventare un “contrabbandiere”, quindi “lo sanno tutti”.
51055… Colui che visse, da adolescente, “tre anni nelle peggiori sofferenze”, nascose addirittura per lungo tempo questi cinque numeri tatuati sull’avambraccio sinistro, un “numero” indelebile attribuito ai deportati che non venivano inviati direttamente alle camere a gas.
Dopo decenni di silenzio, se ne era convinto “sacro dovere di testimoniare questo crimine incredibile, inimmaginabile”.
Henri Borlant, nato Hirsch Borland il 5 giugno 1927 a Parigi, proveniva da una famiglia ebrea non praticante di origine russa. Quarto di nove figli, è cresciuto nel 13° arrondissement di Parigi.
Nell’agosto 1939, di fronte all’imminenza della guerra, la sua famiglia fu evacuata a Saint-Lambert-du-Lattay, nel Maine-et-Loire.
Lì, Henri fu educato in una scuola cattolica e battezzato, un gesto che rifletteva gli sforzi della famiglia per integrarsi e proteggersi in un contesto di crescente antisemitismo.
Il piccolo Henri diventa credente e praticante e vuole persino diventare prete.
Lo abbiamo conosciuto nel 2014. Poi ce lo ha raccontato “sotto il regime nazista” e il Il governo Pétain “Hanno attaccato la razza.”
“Non potevi salvarti la vita convertendoti, perché non era la religione che stavano attaccando, ci ha detto, la prova è che io, che ero un po’ cristiano, un po’ cattolico”, battezzato che aveva fatto la comunione, “per il governo Pétain ero ebreo”.
Con il certificato di scuola in mano, Henri fu finalmente messo in apprendistato presso il meccanico del villaggio.
La sua vita spensierata, all’oscuro delle leggi antiebraiche, terminò il 15 luglio 1942 quando un camion tedesco venne a radunare parte della famiglia. Compreso Henri, 15 anni, 1 mese e 10 giorni.
“Hanno una lista con i nomi di coloro che hanno tra i 15 e i 50 anni”, ce lo dirà nel marzo 2014“siamo alla vigilia della retata Vél’ d’Hiv”.
In nessun momento potevamo pensare o immaginare che saremmo stati arrestati per sterminarci. Se qualcuno ce lo avesse detto, ovviamente non ci avremmo creduto. Era impensabile!
Henri BorlantSopravvissuto all’Olocausto
Henri, suo padre Aron, suo fratello Bernard, di 17 anni, e sua sorella Denise, di 21 anni, vengono gettati negli affollati carri bestiame, convoglio numero 8.
Storditi, sotto shock, non immaginano mai di essere deportati per essere sterminati.
Non avevamo idea di cosa ci aspettasse. Il carro era sigillato, senza aria, e era l’inizio di una discesa agli inferi
Henri BorlantSopravvissuto all’Olocausto
LEGGI ANCHE. 82 anni fa, più di 800 ebrei si affollarono nel convoglio n. 8 proveniente da Angers per essere deportati ad Auschwitz
“Cara mamma, sembra che andremo in Ucraina a raccogliere”, scarabocchia Henri in un biglietto giunto miracolosamente a destinazione grazie a un ferroviere.
Ma tre giorni dopo, quando le porte del treno si aprirono a Birkenau, in Polonia, l’inferno seguì l’abominevole viaggio.
Quando le porte si aprirono fu l’inferno: urla, cani, botte e paura onnipresente
Henri BorlantSopravvissuto all’Olocausto
Gli ululati in tedesco, l’abbaiare dei cani, la nudità, la rasatura della testa e del corpo, i tatuaggi, l’odore pestilenziale di carne bruciata che esce dai camini.
Poi i vestiti a righe, la disumanità dei blocchi, i kapos, le giornate interminabili di lavoro estenuante, la paura continua, i colpi che piovono.
Henri viene assegnato a un kommando in muratura. Sopravvive a condizioni disumane: alla fame, a malattie come il tifo e la dissenteria, ai pidocchi e alla selezione del dottor Mengele per le camere a gas.
“La fame di chi mangia poco per settimane è una fame che lo invade tutto. Non siamo infelici, stiamo morendo di fame, siamo solo fame. La disperazione è ‘era per chi era ben nutrito’dira-t-il.
Trasferito di campo in campo, sopravvisse miracolosamente e riuscì a fuggire il 3 aprile 1945 da Ohrdruf-Buchenwald (Germania), poco prima dell’arrivo degli americani.
Trovò rifugio presso un macellaio contrario al nazismo prima di allertare le truppe americane dell’esistenza del campo. Questa azione portò alla scoperta degli orrori nazisti da parte degli Alleati
Del convoglio n. 8 del 20 luglio 1942 rimasero solo 14 superstiti degli 827 deportati.
Al suo ritorno a Parigi, Henri Borlant non disse nulla delle atrocità subite. Si limita a far capire alla madre che non deve aspettare il ritorno del padre, né di Bernard e Denise, sterminati.
Non gli facciamo nessuna domanda. Parla dei campi solo con le persone tanto care “compagni di deportazione”. Si immerse negli studi, divenne medico e sposò una giovane tedesca, Hella Holst, non ebrea e fieramente antinazista.
Fu solo quando andò in pensione, quando morirono alcuni compagni, che assunse il ruolo di “trasmettitore”. E poi comincia a raccontare, ancora e ancora, instancabilmente.
Quando siamo testimoni di un crimine, abbiamo il dovere di testimoniare
Henri BorlantSopravvissuto all’Olocausto
Parla regolarmente nelle scuole, nei college e nei licei per sensibilizzare gli studenti sui pericoli del razzismo e dell’antisemitismo.
Un giorno mentre parlava con una classe di terza elementare, lo era “commosso fino alle lacrime” per vederlo “uno degli adolescenti ha scritto con la sua piccola calligrafia “grazie per essere sopravvissuto”.
Henri Borlant insisteva sull’importanza della memoria, “La Shoah non ha vaccinato il mondo”diceva spesso.
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