Reportage
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Il primo giorno dell'entrata in vigore dell'accordo, gli abitanti israeliani della zona di confine, che da più di un anno subiscono il lancio di razzi da parte di Hezbollah, hanno accolto con fatalismo la fragile tregua.
Nessun ingorgo sulle strade che portano a nord in Israele. Elicotteri e droni ronzano ancora in quota, ma a terra i militari hanno abbandonato l’allerta. L'aria sembra cambiata, mentre grandi nubi nere minacciano: le sirene non suonano da notte fonda. Così, a volte, la pace arriva: di nascosto.
Mentre la maggior parte degli israeliani accoglie con sollievo la cessazione delle ostilità, la popolazione locale – quei 60.000 sfollati israeliani il cui ritorno è diventato un obiettivo di guerra – è piuttosto dubbiosa. “Questo dà a Hezbollah la possibilità di resuscitare”, dice Orna Weinberg, 58 anni, con lunghi capelli bianchi disordinati, in attesa di tornare nel suo kibbutz nativo di Menara, fondato nel 1943 su un crinale che domina il Libano. È un'opinione che sentiamo quasi sulla bocca di tutti: il forte ritorno del