Dopo Geneviève Labelle e Mélodie Noël Rousseau, alla guida di una tonificante rilettura queer del destino straordinario di Giovanna d’Arco, la nuova direttrice artistica dell’Espace Go, Édith Patenaude, continua a concentrarsi su ciò che la metropoli offre di più stimolante in termini di creazione teatrale femminista. In questi giorni Krystel Descary e Marie-Ève Milot, rispettivamente autrice e regista di fare la morteosano affrontare il più potente dei tabù con tanto umorismo quanto sensibilità.
Perinatale o parasociale, individuale o collettivo, sereno o traumatico, romantico o animale, il lutto è inevitabile. Mentre stiamo ancora sperimentando le ripercussioni della pandemia, le sfide dell’assistenza medica alla morte, evidenziate dal recente podcast di Alain Gravel, morte liberasi invitano a molte discussioni. Non si può biasimare gli artisti teatrali per aver evitato la questione. DaIncendi a Duceppe in Ifigenia al teatro Denise-Pelletier via Neve ad Abidjan al Centre du Théâtre d’Aujourd’hui, la Triste Mietitrice è al centro della scena quasi ovunque. Marie-Ève Perron, che non fa le cose a metà, ha recentemente dedicato un pezzo solista all’inesauribile tema, Della tua forza di viveree un podcast, Lo attraverseremo tutti.
Da notare che la morte sui nostri palcoscenici è molto spesso legata a questioni di identità, una tendenza alla quale l’“autofiction documentata” di Krystel Descary non fa eccezione. Infatti, mentre mette in discussione la morte, la nostra e quella dei nostri cari, lo spettacolo affronta anche il vuoto lasciato da coloro che hanno scelto di lasciare le nostre vite. Questa è la situazione in cui Krystel, l’eroina di fare la mortealter ego dell’autrice, che cerca con ammirevole determinazione di stabilire un legame con il padre, uomo che più volte scompare dalla sua vita, esponendola così a un susseguirsi di lutti cosiddetti “non riconosciuti”.
Il brano giustappone due registri, due fotogrammi che naturalmente si incontreranno proprio alla fine. Da un lato c’è Krystel (finalmente un personaggio teatrale degno del talento di Laetitia Isambert-Denis!), sua madre Michèle (l’irresistibile Isabelle Vincent) e la migliore amica di Krystel, Marie (la divertentissima Joanie Martel), senza dimenticare Michel, il padre che eccelle nell’arte di scomparire nel nulla (Pier Paquette, abile in questo ingrato ruolo). Dall’altro lato c’è una thanadoula (interpretata con sollecitudine dall’autore), una guida che fornisce saggi consigli. Con delicatezza, senza imporre percorsi, senza impartire lezioni, ma senza oscurare o abbellire la realtà, insegna come morire e come domare l’assenza.
Soprattutto non pensate che l’esperienza sia deprimente, anzi. Innanzitutto perché si ride molto, ma anche perché lo spettacolo è un rito benefico dove la scenografia di Geneviève Lizotte, le luci di Étienne Boucher e la musica di Mykalle Bielinski contribuiscono ad elevare l’anima. Utilizzando inventivamente un pavimento ricoperto di terra, la messa in scena di Marie-Ève Milot, tanto semplice quanto efficace, punteggiata di riferimenti agli anni ’90, ci porta facilmente dal comico al tragico, dal quotidiano allo spirituale, dal banale al grandioso. La scena finale, una toccante toilette mortuaria che permette “al lutto di cominciare a svolgersi in modo concreto e sacro”, vale da sola il viaggio.
Quanto al testo di Krystel Descary, che si è avvalso delle intuizioni di Marie-Claude St-Laurent, la sua grande originalità sta nel modo in cui presenta un ventaglio di possibilità riguardo alle cause e ai contesti della morte del padre e della ragazza. Trascendiamo così l’aneddoto, allarghiamo il tema e universalizziamo ciò che avviene sulla scena per offrire a tutti un viaggio adeguato, una riconciliazione adattata, una pacificazione su misura.
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