Taiwan: un giornalista definisce Trump un “criminale condannato”, video cancellato

Taiwan: un giornalista definisce Trump un “criminale condannato”, video cancellato
Taiwan: un giornalista definisce Trump un “criminale condannato”, video cancellato
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L’emittente in lingua inglese TaiwanPlus, finanziata dallo stato, ha rimosso un video in cui uno dei suoi giornalisti chiamava il presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump un “criminale condannato” dopo che il governo aveva definito l’incidente “molto grave”.

Taiwan si è congratulata pubblicamente con Trump per la sua vittoria, unendosi ad altri governi di tutto il mondo che cercano di andare d’accordo con la prossima amministrazione statunitense.

Washington è da tempo il principale sostenitore di Taipei, ma Donald Trump ha espresso preoccupazione durante la sua campagna quando ha suggerito che Taiwan dovrebbe pagare gli Stati Uniti per la sua difesa e ha accusato l’isola di rubare l’industria semi-industriale americana.

La corrispondente di TaiwanPlus Louise Watt stava parlando davanti alla telecamera dagli Stati Uniti la scorsa settimana quando ha dichiarato che “gli Stati Uniti voteranno o per il loro primo presidente donna o per il loro primo criminale condannato”.

“Ebbene, sembra che l’America abbia scelto il criminale” ha riferito Louise Watt, in una clip condivisa dal canale taiwanese TVBS e vista da AFP.

Il ministro della Cultura taiwanese Li Yuan ha dichiarato sabato ai media locali che TaiwanPlus aveva rimosso il video dopo aver detto al canale che “il problema era molto serio”.

La Public Television Service Foundation, che gestisce TaiwanPlus, ha dichiarato lunedì che la rete ha “umilmente rivisto le sue procedure”. La fondazione ha detto che convocherà un comitato di “autodisciplina” questa settimana per “discutere la questione”.

TaiwanPlus trasmette video sul suo sito, su Youtube e via cavo. Secondo la fondazione, oltre il 90% del suo pubblico è fuori Taiwan. Nel 2023, TaiwanPlus ha iniziato a trasmettere in streaming negli hotel degli Stati Uniti, in “città chiave frequentate dalle élite politiche ed economiche, come Washington, D.C., New York, Los Angeles e Seattle”, ha affermato la fondazione.

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