Dietro le bombe a Gaza, un piano ben preparato

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Si chiama “il piano dei generali” ed è un piano israeliano per l’assedio e l’evacuazione forzata del nord della Striscia di Gaza. Ciò suscita una certa apprensione per la popolazione palestinese in generale e per la parrocchia della Sacra Famiglia in particolare. Il professor Idan Landau, dell’Università di Tel Aviv, ci racconta il suo pensiero.

Intervista di Roberto Cetera – Città del Vaticano

Mentre l’attenzione dei media era tutta concentrata sul Libano e sul confronto con l’Iran, negli ultimi giorni l’esercito israeliano ha ripreso i suoi intensi bombardamenti sul nord della Striscia di Gaza, provocando numerose vittime civili. È una situazione grave, che suscita apprensione anche per la sorte della comunità cristiana rifugiata nella parrocchia della Sacra Famiglia, che ormai dista solo pochi chilometri dall’avanzata delle truppe israeliane. Alcuni osservatori ritengono che questo sia il lancio del “piano dei generali”, un piano che mira ad assediare ed evacuare forzatamente il nord della Striscia, proposto a grandi linee da un ex generale israeliano, Giora Eiland, durante un’intervista al quotidiano I tempi di Israele lo scorso aprile. Il piano è stato comunicato alla Commissione Affari Esteri e Difesa del Parlamento dal Primo Ministro Benjamin Netanyahu lo scorso settembre. A questo proposito L’Osservatore Romano ha parlato con il professor Idan Landau, dell’Università di Tel Aviv, che ha studiato attentamente la questione e ha scritto sull’argomento su giornali israeliani.

Professor Landau, può spiegarci brevemente in cosa consiste il “piano dei generali”?

IL “piano dei generali è stato proposto pubblicamente lo scorso settembre. Il suo obiettivo è svuotare il nord della Striscia di Gaza della sua popolazione, quindi più o meno un terzo del totale degli abitanti della Striscia, ovvero circa 300.000 persone. In una prima fase, l’esercito israeliano informerebbe queste persone che avranno una settimana di tempo per fuggire verso sud attraverso due corridoi umanitari. In una seconda fase, dopo questa settimana, l’intera area verrebbe dichiarata “territorio militare chiuso”. Coloro che sarebbero rimasti sarebbero stati considerati combattenti nemici e sarebbero stati uccisi se non si fossero arresi. Verrebbe quindi imposto un assedio totale su tutto il territorio, intensificando, con l’isolamento, la crisi alimentare e sanitaria.

Professore, il piano proposto dal generale Eiland è stato presentato al governo lo scorso aprile e non è stato pienamente approvato. Perché pensi che sia attualmente in fase di realizzazione? Quali attuali operazioni militari lo dimostrerebbero?

La mia impressione è che, nonostante le smentite ufficiali, l’esercito israeliano stia implementando una versione vicina a quella originale. E i soldati sul campo lo confermano ai giornalisti. Molti civili sono stati uccisi negli ultimi giorni e l’assedio della Striscia settentrionale è ancora in corso. Decine di testimoni provenienti da Jabalia, Beit Hanoun e Beit Lahia riferiscono di livelli di distruzione senza precedenti, interi quartieri rasi al suolo e attacchi contro anche i rifugi per stanare chi cerca protezione. I massacri sono quotidiani: il 29 ottobre l’aviazione israeliana ha bombardato massicciamente gli edifici densamente abitati di Beit Lahia, uccidendo 250 persone (metà delle quali sono ancora sotto le macerie). Pertanto, non credo che ci siano dubbi sul fatto che il piano sia stato lanciato. Oltre alla distruzione, le Forze di Difesa Israeliane (IDF) stanno spingendo gli sfollati a sud. Anche se molti di loro resistono e rimangono nell’enclave, rifiutandosi di attraversare il corridoio di Netzarim, perché temono di non poter più tornare.

Quante persone sono interessate dal piano di evacuazione forzata?

Prima del 5 ottobre 2024 – data stimata di inizio dell’operazione – nell’enclave vivevano tra le 300.000 e le 400.000 persone. Oggi ne restano circa 100.000, ma l’IDF è determinata a evacuarli tutti. È abbastanza ovvio che tutto ciò non ha nulla a che fare con l’intenzione dichiarata di catturare i restanti leader di Hamas e distruggere le loro basi; ma il diritto internazionale umanitario non autorizza questo tipo di operazione militare.

Il piano prevederebbe inoltre, oltre alle pressioni militari, l’interruzione delle forniture di cibo, acqua, carburante ed energia. Anche questo andrebbe contro il diritto internazionale umanitario?

Premetto che sono contrario all’uso del condizionale. Questo no “prevedere” non ma “piani”; Quello “non andrei” non ma «va». Ora, da un mese, nell’enclave settentrionale di Gaza, cibo e acqua non vengono più consegnati, ad eccezione di scorte limitate per l’ospedale Kamal Adwan. Tutte le agenzie delle Nazioni Unite e le organizzazioni umanitarie denunciano ogni giorno una situazione umanitaria catastrofica. Credo che non ci siano dubbi sul carattere di questa operazione rispetto al diritto internazionale umanitario, ed è per questo motivo che il governo israeliano tende a tacere sulla sua reale portata.

>>>Campo di Jabalia, nel nord della Striscia di Gaza, il 7 novembre 2024
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Campo di Jabalia, nel nord della Striscia di Gaza, il 7 novembre 2024


Campo di Jabalia, nel nord della Striscia di Gaza, il 7 novembre 2024

Ad oggi il governo israeliano non ha espresso una posizione chiara e definitiva sul futuro ordine a Gaza. Ritiene che questa operazione prestabilisca un ordine futuro, almeno per il nord della Striscia?

SÌ. Penso che l’obiettivo finale sia il ristabilimento dei coloni. Un ritorno dopo il ritiro deciso nel 2005 dall’allora primo ministro Ariel Sharon. La coalizione di estrema destra che sostiene il governo guidato da Benjamin Netanyahu non lo nasconde. A cominciare dal ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich. Si tratta ovviamente di un progetto che verrà portato avanti passo dopo passo. Dalla presenza di soldati all’interno del perimetro della Striscia e delle cosiddette zone “sicurezza”. Creeranno piccoli insediamenti giustificati dalla necessità di controllare militarmente il territorio, che diventeranno poi grandi comunità come quelle della Cisgiordania. Tuttavia, non credo che questa soluzione di reinsediamento dei coloni possa funzionare a sud del corridoio di Netzarim, perché due milioni di palestinesi stipati in questo ghetto a cielo aperto non hanno nessun altro posto dove andare. E col tempo finiranno per essere una bomba a orologeria di povertà, malattie e persino di un pericoloso e crescente estremismo.

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