Donald Trump non ha rilasciato dichiarazioni sostanziali dalla sua vittoria elettorale di martedì; eppure si fa già sentire nelle due principali zone di conflitto mondiale, Ucraina e Medio Oriente.
Con un impatto diametralmente opposto a seconda che ti chiami Volodymyr Zelenskyj, presidente di un’Ucraina in difficoltà militari con la Russia e sul punto di perdere il suo sostegno primario, l’America; o Benyamin Netanyahu, primo ministro di uno stato di Israele in guerra da più di un anno, e che ora beneficia della protezione totale del presidente eletto Donald Trump.
Il Primo Ministro israeliano è nella posizione più invidiabile nella nuova configurazione politica
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Sa che avrà le mani libere fino al 20 gennaio, fino all'insediamento del 47esimo presidente degli Stati Uniti, per portare avanti la sua guerra totale come meglio crede.
Il 46esimo presidente, Joe Biden, si è trasformato ipso facto in una “lame duck”, una “zoppa anatra” come dicono gli americani, vale a dire che le sue parole sono molto svalutate durante i suoi ultimi mesi di mandato. Netanyahu saprà farne buon uso.
Netanyahu non ha ceduto molto alle ingiunzioni di Joe Biden di cambiare strategia per un anno, tranne che per gli attacchi in Iran, i cui obiettivi sono stati negoziati con Washington. Oggi non deve più nemmeno preoccuparsi di cosa pensa la gente alla Casa Bianca, finché non cambia l’inquilino.
Ciò gli permetterà di portare avanti la pulizia etnica di cui non si parla per niente nel nord della Striscia di Gaza, senza manifestare realmente i suoi obiettivi. Per evitare qualsiasi rischio, ha addirittura licenziato il suo ministro della Difesa, Yoav Gallant. Ieri il ministro licenziato stimava che Israele avesse raggiunto i suoi obiettivi a Gaza e che fosse giunto il momento di raggiungere un accordo che consentisse di salvare gli ostaggi ancora vivi. Ma ha accusato Netanyahu di prendere decisioni da solo, sulla base di criteri che non sono né militari né politici.
Donald Trump glielo permetterà finché non entrerà alla Casa Bianca
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Allora vorrà apparire come il pacificatore. A Gaza, in Libano e, resta da vedere, forse in Iran, i prossimi due mesi saranno probabilmente terribili.
In Ucraina l’equazione è diversa. Trump ha già annunciato il colore: vuole risolvere il conflitto “in 24 ore”, non si sa come, ma sembra difficile immaginare che ciò avvenga a vantaggio dell'Ucraina nel contesto attuale.
Gli alleati europei di Kiev si sono incontrati ieri sera a Budapest, a margine di un vertice paneuropeo. Paradosso enorme, ad accoglierli è stato Viktor Orban, primo ministro ungherese, diventato di fatto il principale interlocutore europeo del prossimo presidente americano – pur rimanendo l'unico a continuare a parlare con Vladimir Putin.
Da ieri la coreografia di questa svolta è stata messa in atto. Putin si è congratulato con Trump e si è detto pronto a parlare con lui delle sue idee per l’Ucraina. E Zelenskyj, presente al vertice di Budapest, ha avvertito coloro che sono tentati di spingerlo a negoziare che si tratta di un “suicidio per l’Europa”. Come riusciranno gli europei a evitare che la coppia Trump-Orban faccia capitolare l’Ucraina a condizioni più favorevoli a Putin che agli ucraini? Ciò è tanto più delicato in quanto gli europei non vorranno iniziare il nuovo mandato con uno stallo con un presidente risentito, che li sta già minacciando di una guerra commerciale.
Sono passate solo 48 ore dall'annuncio della vittoria di Donald Trump: e il mondo è diventato un po' più incerto.