la vittoria di Donald Trump, una promessa di carta bianca per Benjamin Netanyahu

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“Congratulazioni! Trump, rendi grande Israele”, si legge sul cartello, a Tel Aviv (Israele), 6 novembre 2024. BALILTY ODED / AP

Anche se le guerre da lui lanciate, a Gaza e in Libano, non hanno mai suscitato una seria opposizione, a livello interno o sulla scena internazionale, Benjamin Netanyahu ha le mani più libere di quanto non abbia mai avuto dal 7 ottobre 2023, per continuare a guidarle come lui ritiene opportuno. Nel giro di poche ore, nella notte tra martedì 5 e mercoledì 6 novembre, il Primo Ministro ha licenziato il suo ministro della Difesa, Yoav Gallant, che aveva chiesto, contro il suo parere, di porre fine alle operazioni a Gaza, e ha visto Donald Trump vince negli Stati Uniti contro Kamala Harris. Dentro e fuori, è libero da due vincoli.

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Mancano poco più di settanta giorni all’insediamento del vincitore delle elezioni presidenziali americane a Washington. Nel frattempo, come il suo omologo americano, Benjamin Netanyahu dovrà fare i conti con le minacce legali. Dovrebbe essere ascoltato, come testimone, il 2 dicembre, in un processo per corruzione iniziato nel 2020. Ma da ora in poi potrà lavorare per incrementare gli attacchi contro un vasto spettro di obiettivi: l’Iran, l’opposizione interna israeliana, la comunità internazionale. istituzioni, tra gli altri.

Donald Trump ha ripetutamente affermato di volere sopra ogni altra cosa “pace” nel Medio Oriente. Ma con questo il repubblicano intende una pace dei forti, con Israele al centro del gioco, e il diritto internazionale relegato nell’oblio. Prima dell’Israeli American Council di settembre si è aggiudicato il titolo di “protettore” dello Stato ebraico. Su questo tema ha poi concentrato parte dei suoi attacchi alla sua avversaria presidenziale democratica, Kamala Harris, affermando che se lei fosse eletta, Israele sarebbe cancellato dalla mappa geografica. “tra due anni”.

Trauma del 7 ottobre

Quest’ultimo, ai suoi occhi, appartiene alla categoria di coloro che spingono Israele per un cessate il fuoco a Gaza e in Libano, per i quali non prova altro che disprezzo. Con grande soddisfazione di Benjamin Netanyahu, che su questo terreno ha combattuto fino a martedì sera contro il suo stesso ministro della Difesa, Yoav Gallant. Quest’ultimo portò con sé gran parte della gerarchia militare. Aveva anche sviluppato ottimi rapporti con l’amministrazione Biden, che era, così, in grado di influenzare, anche modestamente, le decisioni israeliane riguardo alla guerra. Harris fuori dai giochi e Gallant esonerato, sostituito da Israel Katz, completamente allineato alle posizioni del primo ministro, sono due potenziali ostacoli scomparsi.

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