Cosa pensa Putin della vittoria di Trump?

Cosa pensa Putin della vittoria di Trump?
Cosa pensa Putin della vittoria di Trump?
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Nell’articolo 56 della “Dichiarazione di Kazan” resa pubblica il 23 ottobre e tradotta in queste pagine, la Russia, insieme ai rappresentanti dei BRICS invitati nella capitale tartara, esprime preoccupazione “per la crescita esponenziale e la proliferazione della disinformazione”, come così come l’incitamento all’odio che favorisce la radicalizzazione dei conflitti. Tuttavia, è risaputo che la Russia, oltre alla sua ingerenza nei processi elettorali di molti paesi nelle sue immediate vicinanze – come, recentemente, in Georgia e Moldavia – o lontani – dagli Stati Uniti alla Repubblica Centrafricana – , pratica la propaganda dei mass media, tendendo tanto a migliorare la propria immagine a livello internazionale quanto a minare le fondamenta di regimi che gli sono – o sembrano – ostili.

Per citare solo il caso della Francia, ricordiamo queste mani rosse dipinte sul “Muro dei Giusti” del Memoriale della Shoah lo scorso maggio, subito identificate come un’operazione di destabilizzazione russa. L’idea di un intervento del Cremlino era stata favorita anche in occasione del sabotaggio delle ferrovie che precedette l’apertura dei Giochi Olimpici, prima che il ministro dell’Interno si precipitasse ad esplorare un’ipotesi attribuendola all’ultra -Sinistra. Inoltre non abbiamo più parlato di questo terrorista del Donbass arrestato lo scorso giugno vicino all’aeroporto di Roissy, mentre stava preparando un ordigno esplosivo improvvisato. Politicamente, l’influenza del Cremlino si è manifestata con il suo sostegno formale e finanziario alle campagne del Raggruppamento Nazionale, da cui è provato che ha beneficiato di prestiti di diversi milioni da parte della Federazione Russa. Infine, ciò che molti sospettavano è stato confermato dall’indagine di David Chavalarias, del CNRS: l’eccessivo investimento mediatico sulla questione palestinese, almeno nei primi mesi della mortale risposta israeliana, è stato in parte dovuto agli sforzi del Cremlino per promuovere l’ansia -contenuti provocatori

Da molti mesi, quindi, il mondo politico e giornalistico ha gli occhi puntati sul modo in cui la Russia intendeva influenzare le elezioni presidenziali americane, soprattutto da quando è perfettamente accertato che attacchi informatici, campagne di disinformazione e operazioni di propaganda avevano cercato, nel 2020, come nel 2016, per polarizzare l’elettorato statunitense e mettere in discussione l’integrità del processo elettorale stesso. Tuttavia, ci illuderemmo sul modo in cui la Russia percepisce i suoi interessi politici e geopolitici se considerassimo immediatamente di aver utilizzato tutti i mezzi a sua disposizione per far vincere Donald Trump.

Le elezioni del 2024 sono state infatti un vero grattacapo per la Russia. Le ambizioni politiche di Vladimir Putin e Donald Trump concordano chiaramente su un certo numero di punti: la messa in discussione della democrazia, la sottomissione di tutti i meccanismi politici e amministrativi ai desideri di un presidente plenipotenziario, il regno dei valori tradizionali e persino la caccia ai migranti – poiché recentemente abbiamo assistito, in Russia, a un inasprimento razzista della politica migratoria, che arriva al punto di deviare i flussi dall’Asia centrale verso l’Europa e altri paesi asiatici. Tuttavia, la visione di Vladimir Putin è meno ideologica che strategica. Nessuno al Cremlino ha dimenticato, come ha ricordato il portavoce Dmitri Peskov, che l’inasprimento delle sanzioni contro la Russia e il riarmo dell’Ucraina sono effettivamente avvenuti sotto l’amministrazione Trump. Inoltre, gli esperti del Cremlino e i media di lingua russa si interrogano sul contenuto concreto del potenziale piano per porre fine alla guerra in Ucraina che Donald Trump avrebbe in mente: attribuiscono particolare importanza anche agli elementi di questo programma recentemente presentato – sebbene ipoteticamente – da Mike Pompeo, Segretario di Stato dal 2018 al 2021.

Dalle analisi disponibili risulta che Donald Trump, che ha appena vinto le elezioni americane, non è un alleato oggettivo della Russia su scala internazionale.

Pubblicato all’indomani delle elezioni, il comunicato ufficiale di una pagina diffuso dal Ministero degli Affari Esteri della Federazione Russa tradisce un’analisi abbastanza chiara: se la vittoria del candidato repubblicano resta l’opzione migliore per Vladimir Putin, è a causa la destabilizzazione che infligge all’intera vita politica e sociale degli Stati Uniti.

Potremmo infatti riassumere l’interesse del presidente russo in una formula semplice: massimizzare sia la prevedibilità della politica internazionale sia l’incertezza politica all’interno dei paesi dell’“Occidente collettivo”. Vladimir Putin ha bisogno, per portare avanti la sua politica, di “anticipare le mosse” che i sostenitori dell’Ucraina potrebbero prendere in considerazione o tentare. Da questo punto di vista le istituzioni europee si adattano perfettamente al Cremlino, poiché gli appaiono come attori perfettamente prevedibili; ogni confusione all’interno dei paesi che gli reggeranno, a cominciare dagli Stati Uniti, sarà a suo merito. Ma rimane una domanda dopo la notte delle elezioni del 5 novembre: mentre Trump, ora strettamente assistito da Musk, rimane una forza imprevedibile, quanto potrà durare la strategia di caos incontrollato di Putin?

Dichiarazione ufficiale sulle elezioni presidenziali americane

La vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali degli Stati Uniti, che segna il suo ritorno alla Casa Bianca dopo un intervallo di quattro anni, manifesta senza dubbio il malcontento della popolazione americana, che sconfessa sia i risultati dell’amministrazione di Joe Biden sia la situazione elettorale programma presentato dal Partito Democratico, che ha insediato frettolosamente la vicepresidente Kamala Harris al posto dell’attuale capo dello Stato.

Nonostante la potente macchina propagandistica scatenata contro Donald Trump dai democratici, che hanno mobilitato a questo scopo tutte le risorse amministrative possibili e hanno beneficiato del sostegno dei media liberali, il candidato repubblicano, forte dell’esperienza del suo primo mandato presidenziale, ha lanciato la sfida di affrontare le questioni che realmente preoccupano gli elettori, a cominciare dall’economia e dall’immigrazione clandestina, in contrapposizione agli orientamenti globalisti della Casa Bianca.

In queste condizioni, il piccolo gruppo al potere non è riuscito a impedire la sconfitta di Kamala Harris, anche tenendo conto dei vizi cronici della “democrazia” americana – una democrazia arcaica, che rompe con gli standard moderni che definiscono le elezioni dirette, giuste e trasparenti.

Questa vittoria non basterà ad abolire il profondo divario nella vita civile americana, dove l’elettorato si ritrova, di fatto, diviso in due metà quasi uguali: stati democratici e stati repubblicani; sostenitori del “progressismo” e difensori dei valori tradizionali. Possiamo ragionevolmente aspettarci che il ritorno di Donald Trump al potere non farà altro che esacerbare queste tensioni interne e l’ostilità tra i diversi schieramenti presenti.

Non ci facciamo però illusioni sul neoeletto presidente, molto noto in Russia, né sulla nuova composizione del Congresso, dove i dati ora disponibili indicano che i repubblicani avranno la meglio. L’élite politica al potere negli Stati Uniti, indipendentemente dalla sua affiliazione ai due partiti concorrenti, mantiene gli stessi sentimenti anti-russi e aderisce all’unanimità al progetto di “contenimento” della Russia. Questa linea rimane costante mentre cambia il clima politico interno degli Stati Uniti, sia che si tratti di promuovere “l’America first” secondo Donald Trump e i suoi sostenitori o di difendere “un ordine mondiale basato su regole”, una vera ossessione dei democratici.

La Russia lavorerà con la nuova Amministrazione una volta che questa si sarà insediata alla Casa Bianca, difendendo strenuamente gli interessi nazionali della Russia e continuando a perseguire gli obiettivi fissati dall’operazione militare speciale.

Le nostre condizioni non sono cambiate e sono ben note a Washington.

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