Per fortuna gli studenti Unil stanno manifestando

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Gli studenti manifestano a Losanna contro la guerra a Gaza.Immagine: TRAPEZIO

Commento

Negli ultimi giorni gli studenti hanno occupato diverse università svizzere per esprimere il loro sostegno alla Palestina. E questa è un’ottima notizia.

Negli ultimi giorni, le proteste studentesche a sostegno della Palestina si sono diffuse a macchia d’olio in diversi paesi. Prima negli Stati Uniti, poi in Europa e ora in Svizzera. Giovedì scorso l’Università di Losanna ha aperto la strada, seguita martedì dall’EPFL, dall’EPFZ e dall’Università di Ginevra.

Occupazioni che a volte sono state “messe in discussione” e i cui iniziatori sono stati chiamati con nomi. Al di là delle solite (e così prevedibili) accuse di wokismo, antisemitismo e connivenza con l’islamismo, alcuni osservatori hanno deplorato il carattere politico e militante di queste manifestazioni, ritenute quindi in contraddizione con la presunta obiettività accademica.

Nulla potrebbe essere più lontano dalla verità.

Queste numerose manifestazioni sono un’ottima cosa. Perché l’università è, per sua natura, un luogo altamente politico e militante. Non attraverso i suoi organi e la sua organizzazione, ma come luogo di incontro e di apprendimento. Dove, ancor più delle persone, sono le loro idee e opinioni a formarsi.

L’università è un vero laboratorio. La prova è questa La protesta studentesca ha costellato la storia del secolo scorso. Come non pensare alle manifestazioni contro la guerra del Vietnam e contro il conflitto in Algeria, scoppiate nei campus americani e francesi negli anni Sessanta? Nel maggio del 68, il movimento contro la segregazione razziale negli Stati Uniti e, più recentemente, gli attivisti per il clima e il movimento Black Lives Matter hanno trovato terreno fertile in diverse università occidentali.

Mostruoso

Non si tratta di mettere sullo stesso piano la guerra del Vietnam, il razzismo, la crisi climatica e il conflitto in Medio Oriente, né tantomeno di paragonarli. Ma la reazione generata da questi eventi è simile: una sorta di riflesso primario contro l’ingiustizia. Perché non importa come giri le cose, quello che sta succedendo a Gaza è un’ingiustizia.

Furono uccisi più di 30.000 civili. Non esiste una lettura politica che tenga. Da un punto di vista puramente umano è mostruoso, inimmaginabile, insopportabile.

E gridare alla sofferenza degli abitanti di Gaza non significa negare quella degli israeliani. I due non si oppongono, si sommano.

Quindi, se c’è un luogo in cui devono verificarsi queste reazioni a favore di Gaza, è proprio l’università. Naturalmente possiamo interrogarci sui mezzi per farlo. Mostrare sostegno alla Palestina non deve andare a scapito degli studenti e dei professori ebrei o israeliani, che spesso sono essi stessi contrari alla guerra. Da questo punto di vista l’occupazione dell’Unil e di altri campus svizzeri sembra avvenire in maniera esemplare.

E non importa se le richieste degli attivisti vengono giudicate ingenue o impossibili da mettere in pratica, critica questa che è stata mossa.

Ciò che conta è l’intenzione: occupare lo spazio, presentarsi per manifestare il proprio disaccordo con una situazione insostenibile.

Che la protesta abbia guadagnato così tanto seguito nei campus svizzeri è quindi un’ottima notizia. Le voci che oggi criticano le occupazioni sono le stesse che regolarmente definiscono egoisti i nostri giovani. Sta dimostrando che si sbagliavano.

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