Sono passati due anni da quando Cécile Kohler, un’insegnante di francese di Soultz, è stata detenuta in una sezione di massima sicurezza del carcere di Evin a Teheran. (leggi pagina 21). È stata arrestata insieme al suo compagno, Jacques Paris, sulla strada che li riportava all’aeroporto dopo un viaggio turistico in Iran, per “spionaggio”. Questa accusa non inganna nessuno. La coppia figura nella lunga lista delle vittime della diplomazia degli ostaggi, pilastro della politica estera dei mullah sin dalla presa di ostaggi presso l’ambasciata americana a Teheran nel 1979.
L’alsaziano è uno dei quattro francesi attualmente detenuti arbitrariamente dalla dittatura religiosa. Con altri cittadini stranieri, arrestati secondo le esigenze delle autorità, fungono da merce di scambio e strumento di pressione, a un costo inferiore. Un’arma dei deboli contro i potenti la cui intensità varia a seconda dei rapporti tra l’Iran e i suoi nemici e delle esigenze finanziarie del regime. L’arresto nell’aprile 2022 di un funzionario europeo di nazionalità svedese rientra in questa strategia spregevole ma redditizia.
Questa guerra asimmetrica ben consolidata è stata costellata per quasi cinquant’anni da travestimenti, scambi di prigionieri, concessioni diplomatiche, scongelamento dei beni iraniani e revoca delle sanzioni contro Teheran. Avvenuta un anno fa, la liberazione dei francesi Benjamin Brière e Bernard Phélan, il cui stato di salute era peggiorato, è avvenuta “senza risarcimento”, disse allora il ministro degli Affari esteri. Basta scavare nelle estorsioni passate per dubitarne.
Come tutti gli ostaggi, Cécile Kohler è prigioniera di interessi e questioni diplomatiche che vanno oltre le sue possibilità. La storia dimostra che il loro destino è nelle mani degli Stati e che il loro morale dipende dal sostegno dei loro cari e dell’opinione pubblica. Da qui l’obbligo imperativo di mantenere la pressione sul governo e di proclamare il nostro sostegno alle famiglie.
