Il Premio Nobel per la Letteratura va al coreano Han Kang, romanziere del dolore e della fraternità umana

Il Premio Nobel per la Letteratura va al coreano Han Kang, romanziere del dolore e della fraternità umana
Il Premio Nobel per la Letteratura va al coreano Han Kang, romanziere del dolore e della fraternità umana
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Accanto ai morti e ai sopravvissuti

Han Kang evoca questo dramma in Quello che ritorna (2016). Sotto la sua penna, Gwangju diventa universale. La città si trova ovunque nel mondo si esprimano violenza e barbarie, confidava lo scrittore al sito danese Louisiana Channel nel 2020. La letteratura ci permette di ritornare alla nostra eredità, di stare accanto ai morti, ai sopravvissuti, di coloro che abbiamo lasciato dietro di noi. Chi non ama la parola “vittima” preferisce parlare di dignità umana. Troviamo la stessa vertigine di possibilità nel romanzo scarno e avvincente Bianco (2019), libro della neve e del lutto, notazioni minimaliste in cui la narratrice pensa alla sorella maggiore, morta alla nascita. Se sua sorella fosse vissuta, sarebbe nata lei stessa?

Han Kang ha studiato all’Università di Seoul e ha pubblicato il suo primo romanzo all’età di 24 anni. Il successo internazionale è arrivato grazie al Booker Prize ricevuto per Il Vegetariano nel 2016. La sua eroina, Yonghye, decide di non consumare più carne, nonostante l’ostilità di suo marito e suo padre. Vuole diventare “vegetale”, conquistare l’esistenza lenta e spoglia delle piante, rivelare un nuovo erotismo. La sua ricerca dell’assoluto mette in pericolo la società e le sue regole. Verrà internata in un manicomio psichiatrico dal quale la sorella cercherà di farla uscire.

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Dramma nazionale

Da allora, cinque romanzi del sudcoreano sono stati tradotti in francese Vattene, il vento si sta alzando 10 anni fa pubblicava in una piccola casa editrice, Decrescenzo, dedicato alla letteratura coreana. L’anno successivo subentrarono le Editions du Serpent à Plumes per quattro romanzi. Purtroppo hanno cessato la loro attività nel 2018, dopo trent’anni di esistenza. L’anno scorso, finalmente, Grasset ha tradotto Addii impossibiliche ha ricevuto il Premio Medici Esteri.

L’opera rivela costantemente i legami invisibili tra il presente e l’assente, il vivo e lo scomparso. In Vattene, si alza il vento, le emozioni umane rispondono, con gli echi, alle stelle e alle leggi dell’Universo. L’immagine della scomparsa di una stella torna a tormentare il testo: la stella continua a essere vista dalla Terra anche se si è spenta da tempo. Ciò che è stato brilla sempre, sia che si tratti di un’amica e sorella defunta, o, in Addii impossibilii 30.000 coreani massacrati nella provincia di Jeju nel novembre 1948 perché comunisti. Il dramma sepolto venne alla luce solo con la fine della dittatura militare, nel 1987.

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Letteratura consolante

La letteratura si impadronisce del non detto. Lei consola. I libri per Han Kang sono “protettivi”. Non devono cancellare il dolore, ma permetterci di conviverci, di testimoniare la fragilità umana. I romanzi di Han Kang seguono questa linea, fraterni e universali.

Il Nobel, il premio più influente, a lungo focalizzato sull’Europa e sull’Occidente, sta cercando di recuperare terreno. Finora ha messo in risalto molto poco la letteratura asiatica. L’unico indiano pluripremiato, nel 1913, Rabindranath Tagore viveva in un paese allora sotto il dominio britannico. Fu solo nel 1968 che il giapponese Kawabata fu premiato. Nel 1994 si distinse anche il suo connazionale Kenzaburo Oe. Dal lato cinese, solo Mo Yan e Gao Xingjian (quest’ultimo, divenuto francese, non risiede più nel Paese) compaiono in un elenco occupato in gran parte dalla letteratura anglofona e francofona. Han Kang è il primo autore coreano a unirsi alla lista.

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