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Scoperta di un nuovo modo promettente per curare la malattia di Huntington

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La malattia di Huntington è una rara patologia neurodegenerativa ereditaria che causa la progressiva degradazione delle cellule cerebrali. I suoi sintomi, che spesso iniziano tra i 30 e i 50 anni, influenzano le capacità motorie e cognitive dei pazienti e nessun trattamento attuale può arrestarne la progressione. Uno studio però offre nuove speranze: i ricercatori hanno infatti identificato un enzima, GSTO2, che potrebbe svolgere un ruolo centrale nell’innescare la malattia e aprire la strada a trattamenti precoci.

Una patologia devastante

IL La malattia di Huntington è una malattia neurodegenerativa ereditaria e incurabile che colpisce principalmente il cervello. Causato da a Mutazione del gene HTTquesta patologia porta ad una progressiva degradazione delle cellule cerebrali che provoca disturbi motori, cognitivi e psicologici nei pazienti. Questa malattia colpisce da cinque a dieci persone su 100.000 in tutto il mondo, ma ha un impatto devastante sulla vita delle persone colpite e dei loro cari.

La particolarità della malattia di Huntington risiede nella sua trasmissione genetica : un genitore con la mutazione HTT ha il 50% di probabilità di trasmettere la malattia a ciascuno dei propri figli. Questa caratteristica la rende una patologia temuta, perché spesso colpisce più generazioni della stessa famiglia.

Nel dettaglio, la mutazione genetica provoca una ripetizione anomala di sequenze nel gene HTT, che porta alla produzione di a forma alterata della proteina Huntingtina. Questa proteina difettosa si accumula e quindi danneggia il corretto funzionamento dei neuroni, soprattutto in una regione del cervello chiamata striato.

I primi sintomi della malattia compaiono generalmente tra i 30 e i 50 anni. Inizialmente, i pazienti sperimentano difficoltà di concentrazione, lieve perdita di memoria e cambiamenti di umore. Gradualmente compaiono disturbi motori, in particolare sotto forma di movimenti a scatti involontari chiamati corea, che influenzano la coordinazione e la capacità di eseguire i movimenti quotidiani. Nel corso degli anni, la malattia di Huntington provoca un grave declino fisico e mentale che porta gradualmente alla perdita di indipendenza e, infine, alla morte del paziente.

Ad oggi, nessun trattamento non rallenta né arresta la progressione della malattia. Gli approcci disponibili, principalmente farmaci e terapie di supporto, mirano solo ad alleviare alcuni sintomi come movimenti involontari o disturbi psichiatrici. Questa mancanza di una soluzione curativa rende la ricerca scientifica cruciale per i pazienti e le loro famiglie che attendono con impazienza progressi in grado di fornire una reale speranza per il trattamento, il che ci riporta a questa svolta.

Una scoperta sorprendente: coinvolto l’enzima GSTO2

I ricercatori del Center for Computational Quantum Physics (CCQ) hanno individuato un elemento chiave nell’insorgenza precoce della malattia di Huntington: un enzima chiamato GSTO2. Concretamente, hanno osservato che GSTO2 appare livelli elevati nel cervello prima che compaiano i primi sintomi della malattia di Huntington. Ciò suggerisce che questo enzima potrebbe svolgere un ruolo nella sua attivazione.

Per testare il coinvolgimento di GSTO2, i ricercatori hanno poi condotto esperimenti su topi geneticamente modificati per sviluppare la malattia. Hanno poi scoperto che GSTO2 è effettivamente coinvolto nella misura in cui sembra avere un effetto aggravante. Il suo incremento infatti stimola a produzione eccessiva di dopaminache accelera la rottura delle cellule neuronali e peggiora i sintomi. Al contrario, il blocco di questo enzima rallenta significativamente la progressione dei disturbi motori e cognitivi.

L’analisi del tessuto cerebrale di pazienti umani ha confermato questa tendenza, rafforzando l’idea che GSTO2 potrebbe essere un bersaglio terapeutico promettente per contrastare la malattia di Huntington.

Crediti: K_E_N / iStock

Un nuovo approccio terapeutico

Una delle principali sfide nella ricerca sulla malattia di Huntington è sempre stata quella di trovare modi per intervenire prima che compaiano i sintomi. I trattamenti attuali riescono solo ad attenuare gli effetti, ma non possono rallentare o invertire il processo di degrado. Questa scoperta offre quindi una strada incoraggiante. Bloccando GSTO2 sarebbe potenzialmente possibile evitare la sovrapproduzione di dopamina nello striato e quindi preservare i neuroni colpiti dalla malattia.

I ricercatori stanno ora pianificando di svilupparlo farmaci in grado di inibire GSTO2. Questo approccio potrebbe rallentare o addirittura prevenire la progressione della malattia di Huntington. Naturalmente sono necessarie ulteriori ricerche per confermare il ruolo di questo enzima nell’innescare la malattia, ma i risultati attuali offrono la speranza di un importante passo avanti.

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