Movember è il mese della sensibilizzazione sul cancro maschile; l’opportunità di puntare i riflettori sullo studio HOPE, che mira a dimostrare l’affidabilità di un semplice test delle urine per la diagnosi del cancro alla prostata. È il cancro più comune negli uomini. Ogni anno colpisce quasi 60.000 uomini e provoca 8.000 morti. Ma a differenza dei tumori al seno, alla cervice e al colon-retto, attualmente non esiste uno screening organizzato per il cancro alla prostata. Può essere rilevato utilizzando un esame rettale digitale, il test del PSA (antigene prostatico specifico), la risonanza magnetica (MRI) e, se necessario, una biopsia dei tessuti profondi della prostata per confermare la diagnosi. Questo esame invasivo, stressante e talvolta doloroso può anche causare complicazioni.
Uno studio, chiamato “HOPE”, coordinato dall’Institut Curie (Parigi), potrebbe rivoluzionare l’approccio diagnostico al cancro alla prostata. “L’idea è quella di sviluppare un modo semplice ed economico per individuare e indirizzare i pazienti verso trattamenti appropriati il prima possibile”, riassume Antonin Morillon, direttore di ricerca del CNRS/Institut Curie del team “RNA non codificante, epigenetica e fluidità dei genomi”.
Rilevare il cancro in un campione di urina
Antonin Morillon e il suo team, in collaborazione con il professor Yves Allory, anatomopatologo del Curie Institute, hanno sviluppato un test in grado di rilevare nuovi biomarcatori del cancro alla prostata nelle urine. “La nostra sperimentazione, iniziata nel 2021, consiste nel dimostrare il concetto della possibilità di ottenere una diagnosi rapida e non invasiva del cancro alla prostata. Ciò comporta l’analisi diretta della presenza di marcatori robusti della malattia nelle urine dei pazienti. Questo è il primo passo: essere in grado di rilevare il cancro alla prostata nelle urine”, continua il ricercatore.
Quando lo studio è iniziato nel 2022, sono stati inclusi partecipanti sani, ma anche altri con sospetto cancro alla prostata. “Da allora, sappiamo se soffrivano effettivamente di cancro o di iperplasia prostatica benigna”, specifica il nostro interlocutore. Per ciascun partecipante sono stati raccolti campioni di urina. “Oggi abbiamo tutti i campioni e tutte le informazioni cliniche. Attualmente stiamo effettuando analisi informatiche e statistiche per definire la firma molecolare del cancro alla prostata. Tra qualche mese spero che saremo in grado di offrire uno strumento per la diagnosi precoce”.
Il volto nascosto del genoma al centro della ricerca
Quali sono questi biomarcatori che il team di Antonin Morillon sta cercando nei campioni urinari? Utilizzando il sequenziamento molecolare di nuova generazione e algoritmi di intelligenza artificiale e bioinformatica, il team ha identificato una serie di sequenziamenti non catalogati sovraespressi nel cancro alla prostata. “Tutte le nostre cellule hanno una propria identità molecolare. Per i tumori è la stessa cosa, spiega lo scienziato. Troviamo geni espressi in maniera specifica rispetto ad una normale cellula prostatica. Tra questi geni – firme identitarie dei tumori – c’è il lato nascosto del genoma, il DNA non codificante (un tipo di materiale genetico che non si traduce in proteine, ndr) che rappresenta il 98% dei nostri cromosomi e di cui ancora avere poche informazioni. Queste intere sezioni del DNA sono terra incognita. E questo lato nascosto è così vasto che moltiplica le possibilità di ottenere firme specifiche di un tumore..
Se l’efficacia del test sarà dimostrata, si potrebbe avviare un nuovo studio. Obiettivo questa volta: poter conoscere la prognosi del cancro: rischio alto, rischio intermedio o rischio basso. Anche in questo caso è possibile identificare e cercare una firma molecolare direttamente nelle urine. “E se il cancro non è invasivo possiamo preservare la prostata e fare una sorveglianza attiva ma in modo semplice, grazie a un esame regolare delle urine per vedere se il cancro sta progredendo. Si tratta di poter offrire questi strumenti ai pazienti per evitare biopsie non necessarie”.
Fonte: Institut Curie, Intervista ad Antonin Morillon, direttore della ricerca del CNRS