Attualmente, i medici prescrivono abitualmente anticoagulanti ai pazienti di età inferiore ai 65 anni che non presentano altri fattori di rischio cardiovascolare, nella speranza di evitare futuri effetti collaterali.
Questa pratica potrebbe ora cambiare, prevede l’autrice dello studio, la dottoressa Léna Rivard.
“Abbiamo una risposta, vale a dire che non ha senso somministrare questo farmaco per ridurre il declino cognitivo”, ha affermato il dottor Rivard, cardiologo specializzato in elettrofisiologia presso l’ICM e professore associato di clinica presso la Facoltà di Medicina. dell’Università di Montreal. “Il prossimo passo è generare ipotesi per aiutare questi pazienti”.
Lo studio BRAIN-AF è stato interrotto prematuramente, poiché i dati generati dalla Dott.ssa Rivard e dai suoi colleghi dimostravano chiaramente che l’assunzione di anticoagulanti non aveva alcun impatto sul rischio di declino cognitivo, ictus o attacco ischemico transitorio in questi pazienti giovani altrimenti sani.
Poco meno del 20% dei partecipanti allo studio ha perso almeno due punti sulla MoCA Cognition Rating Scale durante un follow-up medio di 3,7 anni, in linea con il declino normalmente osservato in un paziente in un follow-up di dieci anni, ha affermato il Dott. Rivard. . “Non abbasseremo il nostro MoCA di due punti in quattro anni”, ha insistito.
Alla luce di questi risultati, ha aggiunto, i medici dovranno ora cercare di capire come la fibrillazione atriale – la forma di aritmia più comune in tutto il mondo – aumenti il rischio di demenza o di declino cognitivo più avanti nella vita perché non sono in grado, in questo momento, di farlo. per determinare quali pazienti sono a rischio di essere colpiti.
“Ci mostra che il legame (tra fibrillazione atriale e declino cognitivo) non avviene tramite embolie cerebrali, che c’è qualcos’altro”, ha affermato il dottor Rivard. Il prossimo passo sarà riuscire a delimitare la popolazione che rischia di abbassare i propri test cognitivi.
A tal fine, la dottoressa Rivard è lieta di poter contare su quella che lei definisce una “popolazione pura”, ovvero soggetti giovani senza fattori di rischio, a differenza di studi precedenti in cui abbiamo trovato diversi partecipanti con malattie cardiache.
Per ora, ha concluso, a questi pazienti giovani e altrimenti sani si può semplicemente consigliare di seguire i consueti consigli riguardo ad uno stile di vita sano.
I risultati di questo studio sono stati rivelati pochi giorni fa a Chicago, nell’ambito di un congresso dell’American Heart Association.