MARTIN BUREAU/AFP
La storia dietro questo pugnale con inciso il nome di Jean-Marie Le Pen
POLITICA – Testimone della storia. Jean-Marie Le Pen è morto questo martedì 7 gennaio all’età di 96 anni. Fondatore del Fronte Nazionale con eredi della collaborazione e dei soldati nazisti, figura tutelare dell’estrema destra francese, il “ Menhir » aveva combattuto durante la guerra d’Algeria, dimenticando apparentemente sul posto un oggetto che oggi testimonia il suo passato di torturatore.
Si tratta di un pugnale, più precisamente di un coltello della Gioventù Hitleriana, fabbricato in larga scala nella regione della Ruhr tra il 1933 e l’ottobre del 1942, secondo diverse indagini del Mondo sulla guerra d’Algeria. Sulla lama (in acciaio temprato) sono distintamente incise le seguenti lettere: “ JM Le Pen, 1° REP » Acronimo del 1° reggimento paracadutisti straniero, di cui il padre di Marine Le Pen faceva parte come tenente.
L’oggetto, la cui immagine è particolarmente rilanciata sui social network questo martedì, a ricordare il passato di questo “ Diavolo » oggi acclamato da parte della classe politica, si trova attualmente al museo nazionale dei mujahid ad Algeri. Rimase sconosciuto al grande pubblico per molto tempo.
Storia del pugnale
Siamo agli inizi degli anni 2000, lo Stato francese nasconde ancora sotto il tappeto gli orrori della guerra d’Algeria. La giornalista Florence Beaugé ha poi realizzato una serie di interviste (a sopravvissuti che denunciavano le torture, o ad ex generali e soldati – paralizzati dal rimorso – che confermavano questi abusi). “ Un esercizio di verità e memoria che durerà sei anni”scrive nel 2021, in una sorta di raccolta di queste indagini.
In Algeria, il giornalista incontra Mohamed Moulay. Sarà proprio questo algerino a trasmettergli il famoso pugnale, dando così corpo alle voci e alle storie che già da anni accusano Jean-Marie Le Pen di tortura. Per una buona ragione, il bretone dimenticò questo coltello nella Casbah di Algeri il 3 marzo 1957.
Quella sera, una ventina di paracadutisti, guidati da “ un uomo alto, forte e biondo, che i suoi uomini chiamavano “il mio luogotenente” e che in seguito si scoprì essere Jean-Marie Le Pen ”, secondo le testimonianze raccolte da Il mondoirrompe in casa Moulay. Il padre, Ahmed Moulay, membro del Fronte di Liberazione Nazionale (FLN) viene sottoposto per diverse ore, davanti alla moglie e ai sei figli, a “ la domanda. » Una sorta di interrogatorio, con atti di tortura (con acqua o elettricità). La persona torturata, a cui vengono tagliati gli angoli delle labbra con un coltello, viene poi uccisa da una raffica di mitragliatrice.
La mattina del 4 marzo, quando Jean-Marie Le Pen (e gli uomini che lo accompagnavano) lasciarono il piccolo palazzo della casbah, dimenticò il suo pugnale. Il figlio di Ahmed Moulay, Mohamed Moulay, lo ha trovato in un corridoio, appeso a una cintura color kaki. Poi lo nasconde in un armadio elettrico, impedendo ai paracadutisti di trovarlo quando visiteranno di nuovo il palazzo, il giorno successivo e quello dopo ancora.
Lo stesso Le Pen aveva confessato di aver subito torture
Il pugnale rimase poi per diversi decenni nella casa di Mohamed Moulay. Fu affidato nel 2003 all’inviato speciale dell’ Mondo in Algeria e poi serve come prova nel processo che il leader del Fronte Nazionale ha portato al quotidiano serale per “ diffamazione». Jean-Marie Le Pen ha perso ogni round: in primo grado, poi in appello, prima di vedere il suo ricorso respinto.
Nel corso dell’udienza la giustizia è sembrata al contrario convalidare le numerose inchieste dell’ Mondo che tendono a dimostrare, sulla base di testimonianze coerenti, la partecipazione di Jean-Marie Le Pen alle torture durante la guerra d’Algeria. Nella sua prima sentenza (che ha assolto il giornale), il tribunale penale di Parigi lo ha confermato, ad esempio Il mondo effettuato un’indagine “particolarmente serio e approfondito. »
Va detto che al di là del pugnale, numerose testimonianze (a volte di ex soldati come i generali Massu e Aussaresses) o il lavoro di ricercatori hanno documentato negli anni queste pratiche. Lo stesso Jean-Marie Le Pen ha ammesso di aver partecipato ad atti di tortura in Algeria. Era il 1962, sul quotidiano “Combat”, prima della sua ascesa politica e prima di minacciare chiunque rischiasse di rievocare questo passato.
« Non ho niente da nascondere. Abbiamo torturato perché dovevamo farlo », assicurò il fondatore del FN (oggi RN), allora deputato semplice. E aggiungere: “ Quando porti qualcuno che ha appena piazzato venti bombe che potrebbero esplodere da un momento all’altro e non vuole parlare, devi usare mezzi eccezionali per costringerlo a farlo.. » Cinque mesi prima, l’Assemblea nazionale aveva approvato una legge che assicurava “ amnistia per gli atti commessi (…) contro l’insurrezione algerina. » Fortunatamente la storia non ha dimenticato questi dettagli.
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