Erano circa le 18 di domenica 21 aprile 2002 quando ho ricevuto un messaggio da un amico che lavorava in un istituto elettorale. “Se non avete ancora votato, fatelo. Diamo JM Le Pen al secondo turno”.
Alzo le spalle e sorrido. Come molti, quel giorno ho votato altrove. Bianco in questo caso. Le Pen al secondo turno? È assolutamente impossibile.
Improbabile.
Non serio.
Sul serio?
Sì, quando il suo volto appare accanto a quello di Jacques Chirac, c’è incredulità, ben prima che stupore.
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Incredulità: il FN al secondo turno
Ecco allora l’ex poujadista (è stato, dopo la morte nel luglio 2024 di Roland Dumas, l’ultimo deputato a sedere sotto la IVe Repubblica), il paracadutista che torturava in Algeria, quello che vendeva dischi di canzoni del Terzo Reich, l’uomo che fondò il Fronte Nazionale insieme a famigerati collaboratori, impegnati nella divisione SS Charlemagne, e ultras algerini francesi, ex membri dell’OAS – ecco quest’uomo e con lui la destra pétainista essere invitati al secondo turno delle elezioni presidenziali, precedendo Lionel Jospin con circa 200.000 voti.
Un terremoto. Titolano i comunicati francesi, la domenica successiva una folla si riunisce per protestare, è attivo il fronte repubblicano, che Jacques Chirac promette di non dimenticare (ah ah ah) mentre si gode in poltrona la rielezione.
Per la storia, il 21 aprile 2002, Jean-Marie Le Pen è diventato l’uomo che ha aperto le porte del potere per far entrare l’estrema destra. La spilletta gialla contro il razzismo è finita,
“non toccare il mio amico”o “Generazione Mitterrand”.
Con sette candidati, alcuni dei quali con punteggi molto onorevoli (Noël Mamère, Olivier Besancenot, Christiane Taubira), la “sinistra plurale” ha sparso i suoi voti; ha solo se stessa da incolpare. Dopo cinque anni di esercizio del potere in coabitazione, non solo non ha respinto l’estrema destra, ma ha assistito, impotente, alla sua irresistibile ascesa. E il “guercio”, come lo chiama lei, è al secondo turno.
Una progressione elettorale irresistibile
Il boom risale alla metà degli anni ’80. Nel 1974 Jean-Marie Le Pen raccolse appena lo 0,7% dei voti. Nel 1984 il FN elesse una dozzina di deputati europei. Compreso Jean-Marie Le Pen, che è un parlamentare modello: contrario a tutto, mai presente in emiciclo. Vi rimase trentaquattro anni, denunciando ardentemente il sistema “europeista” e beneficiando felicemente del suo risarcimento.
Due anni prima, a Dreux, Jean-Pierre Stirbois si era alleato con il diritto tradizionale dopo le elezioni comunali. A seconda degli occasionali accordi locali o delle convergenze ideologiche, il “cordone sanitario” tra destra ed estrema destra viene regolarmente messo alla prova. Nel 1986, grazie al voto proporzionale voluto da François Mitterrand per indebolire la destra, il FN entra nel palazzo borbonico con una trentina di deputati. Il ritorno al voto a maggioranza li tenne poi lontani per diversi decenni.
D’altro canto, il presidente del FN si afferma stabilmente in prima linea sulla scena politica. Qui raccoglie il 14,4% dei voti nel 1988 e il 15% nel 1995. Un quarto posto nella testimonianza? No, una svolta importante, perché è quasi un voto su sei. Un’abitudine si sta affermando nella vita politica francese, soprattutto a sinistra: l’appello al fronte repubblicano, la costernazione durante le serate elettorali poi la progressiva mitridatizzazione.
Un precursore del trumpismo?
L’uomo, tuttavia, non cerca di compiacere. Ha parole, tipo «immigrazionismo» O “sydiaco”deliberatamente offensivo. Qui sta attaccando il malato di AIDS, “contagioso attraverso il sudore, le lacrime, la saliva, il contatto. È una specie di lebbroso, se vuoi. I riferimenti alla seconda guerra mondiale sono frequenti, patetici “Crematorio Durafour” (2 settembre 1988) al negazionismo silenzioso: “Non ho studiato la questione nello specifico, ma credo che sia un dettaglio della storia della Seconda Guerra Mondiale.” (13 settembre 1987, Grand Jury RTL-Le Monde, sulle camere a gas).
Questa ossessione per Vichy è anche una costante (“l’occupazione tedesca non è stata particolarmente disumana, anche se non sono mancati gli errori, inevitabili in un paese di 550.000 chilometri quadrati”ha detto nel 2005) che sua figlia cercherà di dimenticare.
Parla a voce alta, la sua bocca sembra schiacciare le parole, mascelle sonore che si intuiscono implacabili. Per smussare la sua immagine, si libera della benda e preferisce un occhio di vetro. Cabu lo faceva spesso caricaturare con questa benda, su un gegene, per non dimenticare che torturava in Algeria e non ne provava alcun rimorso.
Oggi, con la nostra conoscenza del Trumpismo, sappiamo come la provocazione, la rottura, la rabbia e l’odio possano alimentare il successo elettorale. Allora non lo sospettavamo quasi, oppure, ingenuamente, pensavamo che i disastri dei totalitarismi del XXe secolo ci aveva vaccinato.
Tuttavia Jean-Marie Le Pen ha già colto l’utilità del ronzio negativo: far parlare di sé, anche negativamente, significa esistere, imporsi, porre un dibattito. È lui che, negli anni Ottanta e Novanta, ha spostato a destra il dibattito pubblico.
Da emarginato a kingmaker
Per due decenni ha dato il ritmo alla vita politica francese a modo suo. I suoi temi sono confutati ma discussi. E questo è ciò che conta.
Ciò indigna la sinistra, ma l’elettorato lavoratore lascia lentamente e in massa il Partito Comunista Francese per unirsi ai battaglioni del Fronte Nazionale. Perché sa rivolgersi anche a coloro che sono rimasti indietro, agli operai, ai dipendenti, che occupano una “funzione tribuniziana” lasciata vacante dal PCF. Con i capri espiatori – gli immigrati, Bruxelles, le “élite globalizzate” – spiega il declassamento, l’abbandono, l’impoverimento. Il divario è ancora ampio oggi, con la sinistra che non sa come riconquistare questo elettorato che implicitamente accusa di razzismo. Elettori della Repubblica perduti, ai suoi occhi.
A destra, Nicolas Sarkozy riesce, con qualche provocazione pronunciata in tono marziale (la Kärcher…), a respingere il FN alle urne. Ma questa strategia illusoria dura solo per un po’. La destra resta in apnea, soggetta a un elettorato che reclama una superiorità. Il divario è sempre meno profondo. Il putsch ciottista è solo un episodio grottesco, mentre i brividi elettorali del momento sono tenuti insieme solo dalla passività calcolata del RN.
L’uomo del 21 aprile è stato a lungo proscritto, diffamato, vituperato.
Oggi sua figlia tiene le fila di un’Assemblea nazionale dove il governo si regge solo con la sua buona volontà. E, per ironia della sorte, il partito co-fondato da Léon Gaultier e Pierre Bousquet, entrambi coinvolti nelle Waffen SS, non spaventa – o non spaventa più – Serge Klarsfeld. Chi avrebbe potuto immaginare una svolta del genere?
Imbonitore di talento e nonostante le sue provocazioni, Jean-Marie Le Pen ha saputo demonizzare a modo suo la RN, aprendo la strada al potere a sua figlia. Alternanza di provocazioni e buon senso, risultati elettorali quasi sempre in corso, il leader del FN ha saputo collocare il suo partito e le sue idee al centro della vita politica francese. Lascia un’eredità che Marine Le Pen ha sapientemente costruito, “demonizzando” il suo partito, di cui ha cambiato nome rimuovendo i membri più problematici.
Il 21 aprile 2002 Jean-Marie Le Pen ruppe un soffitto di vetro. Se i suoi problemi con la legge non glielo impediranno, Marine Le Pen potrebbe superare il prossimo ostacolo nel 2027. Una grande eredità. Il che ci avvelenerà per molto tempo a venire.