l'essenziale
Il processo per i tentati omicidi di Izards si avvicina al verdetto davanti alla Corte d'Assise dell'Alta Garonna. Sorpresa questo lunedì mattina: Abdelkader H., uno dei principali imputati, ha ammesso di essere uno degli assassini. Un progresso che non risolve tutte le questioni.
Di fronte ai giurati, hanno mantenuto la loro posizione. Le domande e le prove non hanno avuto alcun effetto su questi imputati. Le incongruenze nelle spiegazioni relative alle esplosioni di armi automatiche esplose questa domenica, 17 marzo 2019, nel quartiere Izards di Tolosa, non contano. Almeno fino a questo lunedì mattina, quando davanti alla corte d'assise dell'Alta Garonna, Abdelkader H. ha parlato: “Finora ho mentito, sono stato proprio io a sparare stamattina”.
Un dietrofront da parte di questa forza della natura, 25 anni a fine mese, contro la quale le prove si erano accumulate fin dal suo arresto, tracce di DNA sui bossoli fino al riconoscimento da parte di un testimone – “Due anni dopo”, constata, non convinto, il suo avvocato Me Alexandre Martin, sorpreso come la corte dalla sua confessione.
Complici? Un morto, uno disperso
E con chi? Gli altri imputati? “No. Ero con Oucem Z. e Amin S.”
Sorpresa per i coimputati, il procuratore generale e il presidente ma anche gli avvocati difensori che non erano preparati a questa ondata di verità. Oucem, grande amico dell'imputato, “suo quasi fratello”, precisa l'altro avvocato di Abdelkader, Me Edouard Martial, è morto sei settimane dopo la sparatoria del 17 marzo. Giustiziato con una pallottola in testa probabilmente da un membro dello schieramento opposto.
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Quanto ad Amin S., implicato nelle indagini, ha beneficiato dell'archiviazione del caso. Da allora è scomparso. E i controlli effettuati frettolosamente questo lunedì dai gendarmi nella sua ultima abitazione non hanno dato risultati. “Non vive lì da 18 mesi”, avverte la presidente Valérie Noël, delusa se non sorpresa.
Cosa ne pensate di queste rivelazioni? Io, Simon Cohen, esita tra “un atto di verità ma forse anche una manovra”. «In ogni caso è difficile non sentire cosa può dirci questo sospettato ancora vivo.» L'avvocato generale Virginie Audebert, scettica, non vede “niente di nuovo”. Non vuole sentir parlare di licenziamento. La difesa è ironica ma è intrappolata tra “confessioni che non sono niente”, insiste Martial, e un imputato “che vuole portare a termine il suo processo”, avverte Martin.
Vittime da non trascurare
La corte non ci pensò a lungo. Basta leggere le interviste al sospettato scomparso e il suo confronto nel corso delle indagini per informare i giurati, due donne e quattro uomini sempre attenti. Me Cohen ne approfittò per stupirsi: “I tuoi cugini sono in prigione, uno da 5 anni, e questo non ti importa?” Abdelkader non batte ciglio. Mehdi e Aymen balbettano, poco convincenti.
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I miei Sarah Nabet-Claverie e Simon Cohen sono intervenuti alla fine del pomeriggio per difendere le due vittime di quest'imboscata. “Non ci sono sub-vittime”, spiega Me Nabet-Claverie, in un'intelligente difesa di un ragazzo del quartiere “né lì per accusare, né per scusare”. E io Simon Cohen, ansioso di non trasformare il suo cliente “nella star dell'affare” denuncia: “Quella mattina volevano uccidere. Il numero di colpi, la mira, i mezzi, le armi da guerra usate. Volevano uccidere perché avevano un conto da regolare”.
Martedì sono previste l'accusa e le dibattimenti conclusivi degli avvocati della difesa.