la curia di un papa e la giocosa diavoleria di un cineasta

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ARTE – MERCOLEDI 16 OTTOBRE – ORE 20:55 – FILM

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Nanni Moretti e Michel Piccoli, in We Have a Pope. FILIPPO ANTONELLO/ART

Nell’opera lo chiamiamo assumere un ruolo. Per il cardinale Melville, un tempo candidato senza successo al conservatorio di arte drammatica, diciamo “elezione papale”. E, come un baritono che, preparandosi a cantare Don Giovanniscopre che nel suo registro mancano alcuni toni, il cardinale è colto da una strana paralisi. Abbiamo un papa, ma il papa non possiede più se stesso. Appena eletto, senza nemmeno essersi preso la briga di scegliere il suo nome papale, Melville (Michel Piccoli) salta le mura della Città del Vaticano e si perde nella Roma laica.

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Nonostante il titolo in latino, nonostante il peso dei rituali cattolici romani che organizzano le prime sequenze, Abbiamo il Papa pubblicato nel 2011, ha poco a che fare con la religione e la fede. È piuttosto un lamento, scritto, diretto e interpretato da Nanni Moretti, uno showman che vive agli occhi degli altri da diversi decenni, al punto da aver maturato una certa stanchezza, accresciuta dall’avvicinarsi della vecchiaia.

Questa stanchezza è dovuta alle ferite di autostima che la vita pubblica ha inferto al più narcisista degli autori cinematografici, e questi lamenti danno Abbiamo il Papa una dimensione comica. Ma l’essenza di questo film, che spesso commuove, è fatta di materia malinconica, di riflessione poetica sul dovere e sul piacere, sulla libertà e sui suoi limiti.

Processo elettorale poco brillante

La forza dell’emozione emana innanzitutto da un uomo, Michel Piccoli (morto nel 2020). Non lo vediamo nelle prime sequenze, che mostrano – in un montaggio di diabolica abilità che mescola attualità e messa in scena immaginaria – la morte del predecessore e la riunione del conclave.

Nanni Moretti presenta i cardinali come un gruppo di anziani inizialmente preoccupati che il calice pontificio fosse tenuto lontano dalle loro labbra. Con un gesto di giocosa perversità, Moretti nega ai membri della curia la qualità di esseri politici. Sono solo i dirigenti di una società con uno scopo indefinito (non ci sarà mai questione di teologia) che vorrebbero risolvere la questione della gestione al minor costo.

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Il processo elettorale è reso ancora più ridicolo dall’intervento dei burattini giornalistici. In venti minuti si stabilisce la spettacolarità dell’elezione papale, ed è in questo momento che la figura che dovrebbe stare in prima linea rivendica il suo status di uomo libero. Invece di affacciarsi al balcone che dà su piazza San Pietro, il cardinale Melville lancia un urlo straziante.

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