Questa è una delle grandi tendenze del cinema contemporaneo: costruire statue. Uno dopo l’altro, da Winston Churchill a Freddie Mercury o Marilyn Monroe, tutte le figure artistiche, sportive o politiche hanno diritto al loro film biografico. Il fotografo americano Lee Miller si aggiunge ora a questa galleria mentre a Saint-Malo (Ille-et-Vilaine), la Cappella della Vittoria espone le sue foto della liberazione del 1944. Lee Miller frequenta anche il Museo Baron-Martin de Gray (Haute- Saône), in occasione di una mostra dedicata a Man Ray di cui è stata una delle modelle.
Lee Millerun film di Ellen Kuras, si basa sul logoro principio dell’intervista. Un giovane fa visita a Lee Miller che gli racconta la sua vita. La trama si concentra sui suoi anni di guerra e sul viaggio che farà diventare corrispondente dell’ex modella americana Voga inglesi sul fronte francese. Fotografia vagamente seppia, elenco di celebrità, straordinaria interpretazione di Kate Winslet nel ruolo della protagonista, Lee Miller segue i passaggi obbligati del genere senza troppa energia.
Resta però un’idea interessante: il film sceglie come climax un cliché molto particolare dell’opera di Lee Miller. Il 30 aprile 1945, dopo aver fotografato il campo di concentramento di Dachau, arrivò a Monaco, nell’appartamento deserto di Adolf Hitler, accompagnata dal fotografo di Vita David Schemann. Esausto, Miller apre la porta del bagno. All’improvviso, colta da un’ispirazione sbalorditiva, aggiusta la cornice, regola la luce, sistema l’arredamento, si spoglia e si tuffa nella vasca da bagno. Scherman deve solo premere il pulsante di scatto.
Questa foto cult è davvero la più forte nel lavoro di Lee Miller? Nel vasto corpus di testimonianze di guerra, è diversa da tutte le altre. Lavandosi dal fango di Dachau di fronte al proprio obiettivo, Miller chiude la guerra. Diventa nuovamente modella, abbandona la cattura della realtà per inventare una messa in scena che la lega alle sue radici surrealiste e a quella che i nazisti definivano “arte degenerata”. Il film aggiunge un contesto a questo cliché, forse romanzato, e a questa linea di dialogo: “Lasciate le mie tette fuori dall’inquadratura, altrimenti non supereremo mai la censura”. » Se si vincevano le battaglie peggiori, le immagini rimanevano soggette al corsetto.