Dalla Terra vediamo sempre lo stesso lato della Luna. Il suo lato nascosto nasconde segreti, ed è stata una missione cinese quella che è andata a scoprirli. I campioni sono arrivati sulla Terra nel giugno 2024 e le analisi stanno iniziando a dare i loro frutti.
Nel giugno 2024, la missione cinese Chang’e 6 ha segnato un traguardo storico riportando i primi campioni dalla faccia nascosta della Luna, più precisamente dal bacino Polo Sud-Aitken.
Le prime analisi di questi campioni hanno rivelato episodi vulcanici risalenti a 4,2 miliardi di anni fa, e hanno permesso di affinare la cronologia degli eventi lunari sulla base di dati isotopici precisi.
Queste scoperte non sono solo importanti per comprendere meglio la storia della Luna, ma potrebbero anche avere un impatto importante sui nostri modelli di formazione dei pianeti e sulla nostra comprensione dei processi geologici in tutto il sistema solare.
Apollo e Luna hanno trasformato la nostra comprensione della Luna
I ritorni di campioni lunari effettuati dalle missioni Apollo (USA) e Luna (Russia) tra il 1969 e il 1976 hanno trasformato radicalmente la nostra comprensione della Luna.
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Prima di queste missioni, gli scienziati pensavano che la Luna fosse un asteroide catturato dalla gravità terrestre o formatosi contemporaneamente alla Terra. Tuttavia, le caratteristiche chimiche e isotopiche dei campioni lunari non potevano essere spiegate da questi scenari.
Emerse quindi una nuova teoria per conciliare sia i dati dei campioni che la dinamica fisica del sistema Terra-Luna: la Luna si sarebbe formata durante un gigantesco impatto tra Theia, un corpo delle dimensioni di Marte (circa il 10% della massa del pianeta) l’attuale Terra) con la Terra, poche decine di milioni di anni dopo la formazione della Terra. Questo impatto avrebbe vaporizzato parte della Terra e tutta Theia. La maggior parte del materiale espulso sarebbe ricaduto sulla Terra, mentre una piccola frazione avrebbe formato la Luna, che oggi rappresenta solo circa l’1% della massa terrestre.
Tuttavia, i campioni delle missioni Apollo e Luna provengono esclusivamente dal lato più vicino della Luna, il che pone una domanda cruciale: sono rappresentativi dell’intero satellite?
Attaccare il lato nascosto della Luna
In effetti, il lato nascosto della Luna è molto diverso da quello che vediamo dalla Terra: ha una crosta primordiale spessa e ricca di crateri, con pochi o nessun “mari lunari” – questi scuri flussi vulcanici visibili dalla Terra. Mostra anche concentrazioni inferiori di elementi radioattivi, come il torio, rispetto al lato visibile. La nostra conoscenza della parte nascosta si basa essenzialmente su osservazioni orbitali, la prima delle quali è stata effettuata dalla missione Luna 3 nel 1959.
Sebbene queste differenze tra i due lati del nostro satellite naturale siano ancora poco conosciute, suggeriscono tuttavia che le analisi basate esclusivamente su campioni provenienti dal lato visibile potrebbero essere distorte.
La Luna funge anche da “orologio” astronomico
I campioni restituiti dall’Apollo e dalla Luna hanno consentito anche la prima datazione delle rocce lunari. Confrontando l’età di queste rocce con la densità dei crateri associati, gli scienziati sono riusciti a stabilire una corrispondenza tra la densità dei crateri e l’età assoluta delle superfici. Infatti, più una superficie planetaria è antica, più è stata esposta agli impatti dei meteoriti e quindi segnata da numerosi crateri.
Quando si verifica un’eruzione vulcanica, cancella i crateri esistenti ricoprendo la superficie di lava, ripristinando così l ‘”orologio”. Questa scala temporale viene ora utilizzata per stimare l’età delle superfici di altri corpi del sistema solare per i quali non disponiamo di campioni, come Mercurio o Venere. Costituisce quindi uno strumento centrale per comprendere la dinamica delle superfici planetarie, che a sua volta riflette la dinamica interna dei pianeti.
Tuttavia, questa scala si basa interamente su campioni prelevati dal lato più vicino della Luna, il che potrebbe introdurre errori. In effetti, è possibile che i flussi di meteoriti fossero diversi tra il lato visibile e quello nascosto della Luna, mettendo in discussione l’universalità di questo modello.
Primi risultati dai campioni Chang’e 6
Per rispondere a queste domande e comprendere meglio la storia del nostro satellite, la missione cinese Chang’e 6 è atterrata nel giugno 2024 sul suo lato nascosto, nel bacino d’impatto Polo Sud-Aitken. Questa regione, una delle più antiche della Luna, è caratterizzata da un’elevata densità di crateri e potrebbe contenere anche frammenti del mantello lunare, lo strato sottostante la crosta primordiale che finora non era mai stato campionato.
In effetti, il bacino del Polo Sud-Aiken è il più grande bacino lunare. Il gigantesco impatto all’origine avrebbe “scavato” la superficie, lasciando in questa regione una crosta anormalmente sottile. Alcune simulazioni suggeriscono addirittura che l’impatto potrebbe aver raggiunto il mantello lunare, rendendo quest’area particolarmente interessante per l’esplorazione scientifica.
Grazie alla precisa datazione isotopica di numerosi frammenti di basalto (rocce vulcaniche risultanti dalla fusione del mantello lunare sotto la crosta) raccolti nella zona di atterraggio lunare di Chang’e 6, i ricercatori hanno identificato due distinti episodi vulcanici.
L’episodio più antico qui identificato è un’attività vulcanica di 4,2 miliardi di anni. Il campione di basalto analizzato è ricco di potassio, terre rare e fosforo (una combinazione abbreviata “KREEP”), indicando che l’attività vulcanica che ha prodotto questo basalto proveniva da una regione del mantello ricca di elementi radioattivi. Questo frammento costituisce il più antico campione di basalto lunare mai datato con precisione.
Inoltre, altri campioni provenienti da Chang’e 6, basalti più poveri di potassio, terre rare e fosforo, mostrano tracce di vulcanismo più recente, circa 2,8 miliardi di anni. Questa scoperta estende la durata conosciuta delle attività vulcaniche sul lato opposto, dimostrando che durarono almeno 1,4 miliardi di anni.
I basalti più recenti del bacino Polo Sud-Aitken provengono dalla fusione di un mantello lunare povero di KREEP ed elementi radioattivi che costituiscono la principale fonte di calore permettendo la fusione delle rocce e la produzione di lava.
Tuttavia, come accennato in precedenza, il fondo del bacino Polo Sud-Aitken presenta una crosta anormalmente sottile, e fino ad ora si pensava che questa favorisse lo scioglimento del mantello e la risalita del magma. Tuttavia, oggi si scopre che questa risalita di lava è limitata dalla composizione del mantello sottostante, impoverito di elementi radioattivi, che limita la fusione parziale. Ciò spiega l’assenza di grandi pianure vulcaniche in questa regione, nonostante le condizioni apparentemente favorevoli in superficie.
Ciò conferma l’origine della scarsa abbondanza di “mari” sul lato nascosto della Luna rispetto a quello visibile. Tuttavia, l’origine di questa dicotomia chimica tra le due parti rimane oggetto di dibattito. Una recente ipotesi sarebbe legata proprio all’impatto all’origine del bacino Polo Sud-Aitken, la cui potenza avrebbe sconvolto la distribuzione del materiale in profondità, portando ad un accumulo di materiale ricco di KREEP sotto il versante visibile.
Chang’e 6 convalida l’“orologio” astronomico stabilito da Apollo e Luna
Un altro aspetto cruciale del lavoro è il miglioramento dei modelli di sequenza temporale basati sul conteggio dei crateri lunari. Le età isotopiche dei basalti più giovani riportate da Chang’e 6 (2,8 miliardi di anni) concordano con le età determinate dal conteggio dei crateri utilizzando la calibrazione stabilita sul lato visibile.
Inoltre, queste età forniscono un punto di calibrazione critico per affinare questi strumenti, non solo per la Luna, ma anche per altri corpi planetari.
I primi risultati della missione Chang’e 6 confermano quindi l’ipotesi secondo cui il flusso di meteoriti sul lato lontano sarebbe simile a quello sul lato visibile. Questa osservazione convalida l’uso della calibrazione stabilita sul lato visibile per studi più ampi, rafforzando l’affidabilità dei modelli cronologici applicabili ad altri corpi celesti come Marte o gli asteroidi, ad esempio.