L'uomo è come sospeso tra il mondo dei morti e quello dei vivi, disteso su un letto di pelle nera all'ospedale Al-Nafis, nel quartiere Barzé, nel nord di Damasco, martedì 10 dicembre. La testa appoggiata sul palmo della mano, lo sguardo si perde nel vuoto e la bocca resta aperta. Ha l'occhio sinistro gonfio, il naso schiacciato da una vecchia frattura. Altre fratture alla colonna vertebrale e al cranio hanno distrutto il suo corpo fragile e denutrito. Una malattia della pelle gli sta divorando le gambe.
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Una quindicina di persone lo circondano, alcune con il cellulare in mano con la foto di una persona cara che, come lui, un giorno scomparve nell'inferno della prigione del clan Assad. Non sono ancora tornati. “Hai visto i miei figli? Bassem e Ahmed Alala »grida un siriano sulla cinquantina, brandendo il ritratto dei suoi due figli ventenni, prima della loro scomparsa dieci anni fa.
“Non ricorda nemmeno il suo nome…”sussurra un medico che non riesce a trattenere la folla attorno all'uomo. Quando a volte torna in sé, il trentenne fa commenti sconnessi. “Il suo nome è Khaled Badawi. Era un soldato e disertò. È stato arrestato due anni fa ad Aleppo e trasferito ad Aleppo [la prison de] Saydnaya. Da allora non abbiamo più avuto sue notizie.”disse suo fratello Tarek, ai piedi del letto.
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Quando lo aveva riconosciuto il giorno prima, in un video circolato su Facebook, Tarek era subito partito, con tutta la famiglia, da Aleppo, 350 chilometri più a nord. Ad Aleppo sono rimasti solo i due figli di Khaled Badawi, di 3 e 5 anni, e la loro madre, dalla quale è separato. “Siamo felici di riaverlo. Sta un po' meglio rispetto a ieri.”continua Tarek. Due dei loro cugini, di 24 e 34 anni, sono ancora scomparsi, dieci anni dopo il loro arresto ai controlli di sicurezza.
I detenuti morirono di fame e poi furono abbandonati dai loro carcerieri
Khaled Badawi è stato il primo prigioniero ad arrivare all'ospedale Al-Nafis alle 7 di domenica. È stato rilasciato da Saydnaya, la sinistra prigione situata a venti chilometri a nord di Damasco, descritta dalla ONG Amnesty International come un “mattatoio umano”nel momento in cui i ribelli siriani guidati da Hayat Tahrir Al-Sham (HTC, Levant Liberation Organization, ex ramo di Al-Qaeda in Siria) presero Damasco. “Abbiamo accolto nove prigionieri dalla liberazione. La gente li ha trovati che vagavano per la strada e li ha portati da noi.”dice Bassel Al-Qosh, un neurologo di 31 anni.
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