I leader delle 20 potenze mondiali hanno lanciato da Rio slogan più o meno precisi ai negoziatori dei quasi 200 Paesi della conferenza Onu sul clima di Baku, sospesa da una bozza di accordo attesa mercoledì.
A tre giorni dalla fine della COP29, la parte più difficile resta quella di fissare nella pietra le Nazioni Unite su come stanziare 1.000 miliardi di dollari in aiuti annuali o più per i paesi in via di sviluppo.
Fin dal primo mattino in Azerbaigian, i partecipanti hanno analizzato la dichiarazione finale di 22 pagine del G20 pubblicata durante la notte.
Alcuni vi hanno trovato soddisfazione, perché i paesi in via di sviluppo vengono citati più volte.
I leader chiedono in particolare di “aumentare i finanziamenti e gli investimenti pubblici e privati per il clima nei paesi in via di sviluppo” e diversi paragrafi menzionano la necessità di aumentare i finanziamenti privati e multilaterali ai paesi in via di sviluppo.
Il segnale chiesto dall’Onu alle 20 potenze mondiali sarebbe dunque arrivato, secondo alcuni, da Rio.
“Le delegazioni del G20 hanno ora l’ordine di marcia qui a Baku, dove abbiamo urgentemente bisogno che tutti i paesi smettano di assumere posizioni e convergano rapidamente verso un terreno comune”, ha reagito martedì il capo dell’ONU per il clima, Simon Stiell.
Martedì anche il coordinatore azerbaigiano dei negoziati, Ialtchine Rafiev, si è rallegrato che il G20 “ha rinnovato il suo impegno (…) a favore del multilateralismo nelle questioni climatiche”.
– “Non materializzato” –
Ma le discussioni a Baku sono molto più complesse.
“Aspettavamo un impulso, le nostre aspettative forse erano troppo alte”, ha detto all’AFP un negoziatore europeo con una smorfia.
“La leadership che alcuni speravano da parte del G20 non si è realmente concretizzata”, si è rammaricato martedì Michai Robertson, il capo negoziatore dei piccoli Stati insulari, molto ascoltato all’ONU per essere in prima linea nei disastri climatici.
Il G20 “ha consegnato ancora una volta la patata bollente nelle mani della COP”, deplora Friederike Röder, della ONG Global Citizen. “Il Brasile ha giocato la partita al meglio; il G20 non è riuscito a tenere il passo”.
Tanto più che su un altro tema bloccante, ovvero la riduzione di petrolio, carbone e gas, il G20 ha fatto piuttosto marcia indietro.
Il comunicato tace infatti sul graduale abbandono dei combustibili fossili, formulazione ripresa dalla COP28 di Dubai ma non ripresa esplicitamente a Rio, cosa che ha irritato le ONG.
Da Rio, il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva, il cui Paese ospiterà la COP30 l’anno prossimo a Belem in Amazzonia, ha invitato martedì i membri del G20 a “non rinviare” al 2025 il “compito” dei negoziati in corso a Baku.
– Punti chiave in sospeso –
Gli economisti incaricati dalle Nazioni Unite stimano che la necessità di aiuti climatici esterni nei paesi in via di sviluppo sarà di 1.000 miliardi all’anno entro il 2030 e di 1.300 miliardi entro il 2035.
Il G20 evidenzia “la necessità di aumentare i finanziamenti per il clima” per portarli “da miliardi a trilioni da tutte le fonti”, il che è positivo per i paesi vulnerabili.
Ma il testo elude le vere domande che dividono europei, americani, cinesi e i paesi in via di sviluppo:
– Quanto dovrebbero provenire dai fondi pubblici dei paesi sviluppati, che storicamente contribuiscono al cambiamento climatico?
– Quale parte degli aiuti dovrebbe assumere la forma di donazioni o prestiti?
– E come possiamo invitare il gigante cinese e altre nuove potenze a contribuire, quando non hanno alcun obbligo di sostenere i paesi in via di sviluppo nei testi delle Nazioni Unite?
– Silenzio sui fossili –
È su queste questioni che la COP29 avrà successo o fallirà. Ma il G20 si accontenta di scrivere: “Ci aspettiamo il successo del nuovo obiettivo collettivo quantificato (NCQG in inglese, ndr) a Baku”.
“I leader del G20 non hanno inviato i necessari segnali politici da Rio a Baku”, ha affermato Rebecca Thissen, dell’enorme rete di ONG Climate Action Network. Denuncia, tra queste grandi potenze inquinanti, il “silenzio” sulla finanza climatica e il “mutismo” sul progressivo abbandono dei combustibili fossili responsabili del riscaldamento globale.
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