Una posizione eccezionale, vette straordinarie. Così, mentre da più di un anno il destino della Palestina è oggetto di negoziati quotidiani a livello internazionale con il coinvolgimento diretto di alcuni paesi arabi della regione, la situazione nel Vicino e Medio Oriente ha raggiunto un parossismo che ora chiama per l’unità. Su iniziativa dell’Arabia Saudita, così influente nella regione, i re e i capi degli Stati arabi e musulmani hanno tenuto un vertice che ha il merito di chiarire le posizioni di tutti adottando una risoluzione comune che più chiara non può essere.
Il Marocco, rappresentato dal Capo del Governo Aziz Akhannouch, è stato ancora una volta decisivo in questo slancio, da un lato con le parole del nostro Re e il contenuto del suo discorso pronunciato in occasione dell’ultimo Giorno del Trono, dall’altro con il suo impegno e la sua azione come Presidente del Comitato Al-Quds, al quale tutti i Paesi presenti hanno ribadito il loro appoggio incondizionato. Questo sostegno è tanto più importante dato che il mandato contestato dell’UNRWA lascia pochissime alternative per fornire aiuti umanitari di emergenza ai palestinesi.
Ma, al di là della consapevolezza manifesta e collettiva della gravità del momento, ciò che è notevole di questo vertice sono i termini utilizzati dai paesi presenti nella risoluzione finale adottata.
I partecipanti al vertice hanno “condannato fermamente” le azioni dell’esercito israeliano, descritte come “un crimine di genocidio (…) soprattutto nel nord della Striscia di Gaza nelle ultime settimane”. Hanno inoltre invitato la comunità internazionale a “vietare l’esportazione o il trasferimento di armi e munizioni verso Israele” e hanno condannato “i continui attacchi delle autorità israeliane (…) contro l’ONU”. Infine, i leader dei paesi arabi e musulmani hanno invitato Israele a ritirarsi completamente dai territori arabi che occupa per raggiungere una pace “globale” in Medio Oriente.
È inequivocabile e preciso che il mondo arabo e musulmano, qualunque siano i suoi legami circostanziali o individuali con lo Stato ebraico, denuncia la mancanza di rispetto del diritto internazionale da parte di Israele, l’attacco alle poche conquiste dei palestinesi e alla stabilità di altri Stati sovrani, Libano in testa. Tanto che l’Arabia Saudita sunnita, nemica giurata dell’Iran sciita, attraverso le parole del principe ereditario Mohammed bin Salman, afferma che Israele dovrebbe “astenersi dall’attaccare” l’Iran e descrive l’Iran come “Repubblica sorella”, è che il timore di una conflagrazione fatale per l’intera regione è fantastico.
Perché era così importante che i violini dei rappresentanti della comunità arabo-musulmana fossero accordati? Perché oltre al messaggio di solidarietà e di sostegno ai palestinesi, che nulla sembra annunciare un sollievo imminente, di fronte all’arrivo di Trump, i termini dei negoziati dovevano essere resi pubblici prima che fosse troppo tardi.
Era necessario ricordarci con forza e insistenza che solo una soluzione a due Stati è possibile per porre fine durevolmente al conflitto, con Gaza come parte integrante dei territori dello Stato palestinese indipendente e Al-Quds Oriental come sua capitale. Perché da parte israeliana rispondiamo ormai in modo del tutto disinibito che voler creare uno Stato palestinese non è “oggi” un progetto “realistico”, come ha dichiarato lunedì stesso giorno il ministro degli Esteri israeliano Gideon Saar poiché il vertice si è tenuto a Riyadh.
La nuova amministrazione americana, poiché è verso di essa che sono rivolti tutti gli sguardi e le speranze, difficilmente potrà conciliare le posizioni diametralmente opposte dei protagonisti della regione. Mentre aspettano che la situazione si stabilizzi in silenzio e affronti i problemi del mondo secondo il proprio ritmo, i palestinesi, i libanesi, aspetteranno.
Zuhair Yata
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