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Vandea Mouchamps. Bruno RETAILLEAU “Non mi paragono a Georges Clemenceau!”
In occasione del 95° anniversario della sua morte, il ministro degli Interni Bruno Retailleau gli ha reso omaggio a Mouchamps (Vendée) dove è sepolto.
Erano presenti il prefetto Gérard Gavory, i parlamentari della Vandea – Véronique Besse, Pierre Henriet, Didier Mandelli (vicepresidente del Senato) – il presidente del dipartimento Alain Leboeuf, e numerose autorità.
In un discorso durato una decina di minuti, il ministro ha ricordato la personalità di Georges Clemenceau, il “padre Vittoria”; la cui risposta ed eloquenza erano rinomate.
Poco dopo, parlando alla stampa, ha espresso indignazione per l'aumento dei casi di razzismo in Francia, in particolare nei confronti della comunità ebraica.
Poi, a proposito di Georges Clemenceau, dichiarò:
” Georges Clemenceau, che è un grande vandeano, che era un grande francese: aveva questa frase che deve parlare a tutti i vandeani, che parla a me dato che era ministro degli Interni, io sono ministro degli Interni, ma non paragonatemi a Georges Clemenceau; questa frase che spesso pronunciava è la seguente:
– È al temperamento vandeano che devo il meglio delle mie qualità“.
Certamente sapendo che alcuni lo chiamavano “1° poliziotto di Francia”, alludeva alle “Brigate della Tigre”, alla loro operazione congiunta per la Vandea, alle loro radici ecc… Bruno Recalleau non ha mancato di precisare alla stampa che non si paragonava a Georges Clemenceau!
Il prefetto Gérard Gavory, il ministro degli Interni Bruno Retailleau, la purificata Véronique Besse, il sindaco di Mouchamps, Patrick Mandin, e il presidente del consiglio dipartimentale Alain Leboeuf.
Video
(altri video della cerimonia, in corso)
Intervento di Bruno Retailleau, Ministro dell'Interno,
in occasione del 9° anniversario della morte di Georges Clemenceau
“Signor Prefetto,
Signore e signori parlamentari, cara Véronique, caro Pierre, caro Didier – primo vicepresidente del Senato -,
Signore e signori eletti,
Signor Presidente del Consiglio dipartimentale, caro Alain, Signora rappresentante del Consiglio regionale, cara Anne-Sophie,
Signore e signori sindaci, e in particolare i sindaci dei comuni della Clemenza,
E ovviamente signor sindaco di Mouchamps, caro Patrick,
Signor Presidente dell'UNC Vendée al quale voglio inviare questa mattina un messaggio di gratitudine insieme a tutti questi alfieri,
Signore e signori, polizia, vigili del fuoco, signore e signori, rappresentanti del mondo della lotta,
« Ecco la promessa mantenuta sulla tua tomba della Vandea.
Queste parole sono quelle pronunciate da Charles de Gaulle il 12 maggio 1946: qui, a Mouchamps, al cimitero di Colombier. E questa promessa è quella fatta dal leader della Francia libera, di recarsi sulla tomba di padre la Victoire, una volta che i francesi saranno stati liberati e una volta ristabilita la Francia.
Il generale de Gaulle ha mantenuto la sua promessa.
“E oggi abbiamo il nostro. Teniamo il nostro perché se siamo riuniti vicino a questa tomba della Vandea; spetta anche a noi rinnovare una promessa, in occasione del 95° anniversario della morte di Georges Clemenceau.
Questa promessa è una promessa della Vandea. Perché è la promessa di fedeltà del Vandea a colui che è sempre rimasto fedele alla sua Vandea.
Dalla sua infanzia, al castello dell'Aubraie, fino a questa tomba di Mouchamps, dove Clemenceau voleva riposare. Cioè vicino a suo padre. Vicino a suo padre e in questa terra: la nostra terra della Vandea.
E uso il possessivo apposta. Perché è in questi termini che il 30 settembre 1906, a La Roche-sur-Yon, Clemenceau si rivolge ai Vandeani.
“Questa terra è nostra”disse loro, “i nostri antenati dormono lì in pace, noi abbiamo vissuto lì, e tutti dormiremo lì dopo aver compiuto il buon compito”.
Il compito compiuto da Clemenceau è immenso. Era commisurato alla grande idea che aveva sempre avuto della Francia.
Ed è per questo che questa promessa della Vandea è anche una promessa francese. Come si chiama questa promessa? Una triplice esigenza, incarnata da Georges Clemenceau.
– Un’esigenza di fermezza, innanzitutto. E se ne parlo stamattina è perché Clemenceau ha sempre assunto fermezza, assumendo questa funzione di ministro degli Interni che oggi è mia.
“Se lo Stato si indebolisce di fronte ai nemici dell’ordine”affermò allora Clemenceau “cessa di essere lo Stato”. E lo penso anch'io. Lo Stato debole è lo Stato contro i deboli. Perché è lo Stato che lascia i più modesti alla mercé dei più violenti. Sì, l'ordine è un bene prezioso per chi ha poco. Clemenceau, l’ex medico dei poveri, lo sapeva. Ed è perché lo sapeva che alla Camera dei Deputati, in occasione dei grandi disordini del giugno 1906, disse a Jean Jaurès queste parole: “ Lei, signor Jaurès, lascerebbe che gli scioperanti saccheggiassero e saccheggiassero le case dei lavoratori, il cui unico crimine è lavorare? »
Queste parole trovano oggi una particolare risonanza. Quanti francesi, che aspirano soltanto a vivere dei frutti del proprio lavoro, vedono degradata la loro proprietà, minacciata la loro sicurezza, in nome di una falsa concezione dei diritti? È per questa Francia onesta e pacifica che lo Stato deve avere il coraggio di essere fermo. Questo coraggio che ha avuto Georges Clemenceau. E l'ha ottenuto nonostante le caricature, e talvolta anche gli insulti, gli insulti che ha dovuto subire, troppo spesso. Non hanno mai impressionato Clemenceau. Perché il Vandea non è uomo da sottomettersi.
– Dopo la fermezza c’è l’esigenza di libertà.
Libero, Clemenceau è sempre stato libero. Libero dai pregiudizi del suo tempo. A cominciare dal peggiore: voglio parlare del pregiudizio antisemita. L’antisemitismo, questo “grido di morte”, come lo definì Clemenceau, lo ha sempre inorridito. Dreyfusard feroce, fu Clemenceau, allora giornalista, ad aprire le colonne del suo giornale, Albaal famoso “Io accuso!” » di Emile Zola.
Fu lui a trovare questo magnifico titolo, che da allora è entrato nella nostra storia francese. E in un momento in cui l’odio antisemita sta riemergendo nel nostro Paese, abbiamo bisogno di novità “Io accuso!” ». Sì, ne abbiamo bisogno di nuovi “Io accuso!” »per designare il nuovo antisemitismo e per smascherare il nuovo
antisemiti.
Come Clemenceau, non lasciamo passare nulla. Libero da pregiudizi, quindi. Ma anche libero da dogmi. Di tutti i dogmi. Compresi i dogmi del campo a cui apparteneva Clemenceau. Perché lui, il “laicista” ; il suo, “l’ultimo figlio della rivoluzione francese”come ha detto in modo così eloquente Hannah Arendt.
Lui che ha sorpreso molti altri fuori dal suo campo quando, divenuto ministro dell'Interno, ha fatto la scelta non del confronto con la Chiesa, ma dell'acquietamento con i cattolici.
Penso alla questione, allora così scottante, quella degli inventari dei beni della Chiesa. A coloro che gli chiedevano intransigenza, Clemenceau rispondeva così, con tutto il suo talento oratorio:
“La questione se contare o meno i candelabri in una chiesa non vale una vita umana. »
I più anticlericali lo facevano a loro spese. Come lo erano state, del resto, quando Clemenceau, tre anni prima – e con sorpresa di molti – si era opposto al monopolio educativo dello Stato, in nome di questa libertà che teneva più di ogni altra cosa.
Sì, inclassificabile, perché impermeabile alle ideologie: e se con de Gaulle Clemenceau rappresenta l'archetipo dello statista, è perché, come l'eroe del 18 giugno, era innanzitutto un uomo libero.
Cerchiamo quindi di essere liberi anche noi. Liberiamoci da pregiudizi e dogmi: il nostro tempo non ne è privo. Liberiamoci dal pensiero pronto, che nasconde la realtà, che distorce la verità.
Essere liberi, essere veri: questo significa anche essere fedeli al messaggio di Georges Clemenceau.
– Fermezza, libertà: ma anche unità.
Clemenceau è l'uomo dell'unione sacra, ovviamente. Ma allora, dopo il 1917, durante il 1917, non c’era nulla di ovvio in questo. Niente è ovvio perché come già notava Churchill, parlando di Clemenceau il repubblicano e Foch il cattolico:
« Ci sono due nazioni in Francia, e questo a un livello che nessun altro grande popolo raggiunge..
E, aggiunsero gli inglesi: “ c’è una tregua solo quando la Francia è in pericolo mortale”.
E se Churchill dicesse di Clemenceau, “era la Francia”è perché sapeva che, in mezzo ai pericoli del 1917, Clemenceau era stato l'uomo di questa tregua francese.
E fu fino all'11 novembre 1918 che Padre Vittoria pronunciò questa frase sublime, questa frase nota a tutti:
“La Francia, ieri soldato di Dio, oggi soldato dell’Umanità, sarà sempre il soldato dell’Ideale”.
Le due Frances… Le due Frances, che per noi vandeani fanno eco alle due vittorie. Quelle incarnate dai nostri due grandi vincitori, entrambi nati a Mouilleron-en-Pareds: Clemenceau e Jean de Lattre de Tassigny, la vittoria del 1918 e quella del 1945, la tradizione azzurra e quella bianca.
E questo messaggio di unità francese è anche, e voi lo sapete, il messaggio che la Vandea, la nostra Vandea, porta in sé. E che porto anche dentro di me.
Manteniamo dunque, amici miei, questa doppia promessa, vandeana e francese, nei confronti di Georges Clemenceau. Sì, siamo fermi, sì, siamo liberi, ma restiamo uniti.
Siamo vandeani, siamo francesi in breve.
Cerchiamo di esserlo totalmente, di esserlo appassionatamente, come lo è stato Georges Clemenceau.
Ed è così che rimarremo fedeli al suo messaggio.
Viva Georges Clemenceau, viva Jean de Lattre de Tassigny,
Viva la Vandea, viva la Repubblica e soprattutto viva la Francia!
Philippe Brossard-Lotz
Il giornalista di Sablais
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Attivo dall'8 settembre 2008
Philippe Brossard-Lotz
Il giornalista di Sablais
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